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Ritrovarsi a Parigi
 
Ritrovarsi a Parigi 2020-03-04 08:49:17 Cecychan
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Cecychan Opinione inserita da Cecychan    04 Marzo, 2020
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Dedicarsi all'altro

Per una serie fortuita di eventi, Pierre, il nostro protagonista, scopre inaspettatamente il modo, puro e semplice, immenso e profondo, di stravolgere la sua esistenza che, dalla morte della madre, è stata una linea retta, sicura, perché priva di ondulazioni, perché priva di rapporti umani, di emozioni se non la disperazione per la sua condizione di assoluta solitudine. E non stravolge la sua vita con chissà quale gesto plateale o viaggiando in luoghi misteriosi e affascinanti.
Un giorno, seppur un tantino restio, prende la decisione di lasciare il suo rifugio, Parigi, in occasione delle vacanze estive. Si reca a trovare un amico, Francois, “in un buco lontano centinaia di chilometri”, “niente di che se ci si vuole divertire, ma un silenzio straordinario, a parte la sera, quando le rane si mettono a gracidare nello stagno. Non c’è il gas e neanche l’elettricità. [...] Alberi, erba, acqua - tutto qui”.
I due amici, Francois e Pierre, fanno lunghe passeggiate nella natura della Provenza, tra questi “alberi giganteschi”, nei boschi, lasciando che “quell’odore particolare, acre, che non riusciva ad identificare”, li rapisca totalmente, in un “mondo differente” perché fatto di “silenzio” e “eternità”.
“I giorni scorrevano, identici come gli alberi della foresta. Il sole batteva, i picchi verdi martellavano la sera; le ranocchie gracidavano. Allo spuntar della notte lo spazio annegava in un’oscurità dolce e vellutata, e quando dal suo letto Pierre guarda attraverso la porta aperta non aveva che tenebre. Prima di addormentarsi respirava quell’aria così particolare, impregnata del profumo di terra scaldata dal sole della giornata, di erba e di alberi”.
Leggiamo di questo giovane e un po' ce lo immaginiamo mentre trascorre le giornate di vacanza nel caldo sole della Francia e intanto, stimolato dalla natura incontaminata che lo circonda, rivolge lo sguardo alla sua esistenza, percependo quel “sentimento di inanità del mondo circostante, della propria vita, del proprio lavoro...”.
Solo in questa circostanza tanto isolata rispetto alla sua normale quotidianità parigina, Pierre si rende conto che fino a quel momento aveva vissuto così, tanto per vivere, era, si può dire, sopravvissuto ma solo con il corpo: la sua anima infatti si era presa una lunga convalescenza, e tutto ciò che aveva fatto fino ad allora era totalmente privo di significato alcuno. Ed è chiacchierando con il suo amico Francois che medita quella folle, meravigliosa idea: può davvero dare un senso alla vita prendendosi cura della vita di qualcun altro. Entra in scena Marie, una donna che ha avuto un ruolo secondario in tutta la sua esistenza: Francois l’aveva accolta, le aveva offerto un posto dove “vivere”, o meglio, non morire. Marie e’ una donna emarginata, con un passato oscuro che l’ha resa priva della linfa vitale, il suo sguardo vuoto non esprime alcunché.
“Per cinque anni ha condotto un’esistenza puramente vegetativa. Ha mangiato, dormito, camminato, ma probabilmente senza avere coscienza di questa esistenza”. E’ c’è davvero qualcosa di straordinario nello scontro e nel successivo intrecciarsi di queste due esistenze, quella di Marie e di Pierre. Scopriamo insieme a loro che dedicarsi all’altro ha un che di incredibile: si rinasce ad una nuova vita, una vera vita. Tramite l’altro incontriamo il nostro io più profondo; è l’altro che ci pone di fronte ai nostri limiti ma soprattutto fa emergere i nostri pregi, quelli che forse nemmeno noi sapevamo di possedere. Non siamo nulla senza l’altro e più ci scontriamo con la solitudine più in fondo a un abisso scurissimo sprofondiamo.
“Quella donna, quella poveretta” diviene l’occasione per Pierre di dare un senso alla sua vita. Questo giovane uomo si prende cura incondizionatamente e totalmente di Marie, trasmettendole giorno dopo giorno, senza mai desistere, un valore a quel “corpo inespressivo, proprio come il viso e gli occhi”.
E’ un libro che si legge tutto d’un fiato fino all’ultima parola. E’ possibile essere morti anche se il nostro corpo continua a rispondere agli stimoli; è possibile essere non vivi anche se respiriamo, ci nutriamo, rispondiamo ai bisogni fisiologici. Ma è impossibile definire questa esistenza come vita; ma è anche vero che da questa morte si può rinascere, si può tornare a respirare liberamente...quest’uomo e questa donna ritrovano la luce in fondo a quel terribile tunnel grazie all’amore incondizionato dell’uno nei confronti dell’altra.

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Recensione davvero molto appassionata! Mi ha fatto riflettere il passaggio in cui l'incontro con l'altro diventa non l'incontro con l'inferno che mi condanna (come in Satre), ma anzi la positiva occasione per riscoprire qualcosa di buono in noi. Mi piace questo cambio di prospettiva e lo sottolinei molto bene!
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