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Una marionetta esplosiva
"«Tu non sarai mai un belga a tutti gli effetti», mi aveva avvertito Lyès. «Non avrai mai una macchina con autista. E se, per miracolo, dovesse capitarti d’indossare giacca e cravatta, lo sguardo degli altri ti ricorderà da dove vieni. Qualunque cosa tu faccia, qualunque successo tu ottenga, in un laboratorio di ricerca o su un campo di calcio, ti basterà dare una testata a un vigliacco per rotolare giù dalla tua nuvola di idolo e tornare a essere uno sporco arabo. È sempre stato così. E sempre così sarà»". Per Khalil la vita non è mai stata facile. Belga di origine marocchina, il nostro protagonista si è sentito sempre poco accettato dal mondo occidentale in cui si è trovato a crescere e troppo distante geograficamente da quello che ritiene il suo vero mondo. La situazione familiare non lo aiuta. Suo padre è un modesto fruttivendolo con il vizio del gioco, uomo all'antica incapace di gesti di tenerezza verso la moglie e i figli. Sua madre una donna sottomessa, immutabile nel tempo, vittima costante di un rimorso e una colpa ingiustificati. Yezza, la sorella maggiore, lavora come una schiava in una fabbrica tessile clandestina a settanta chilometri da casa. Zahra, la sua gemella, è stata ripudiata qualche mese dopo essersi sposata. Khalil, l'unico figlio maschio, in cui i genitori avevano riposto grandi speranze, non ha superato il secondo anno di liceo, non dimostra alcuna propensione al lavoro, passa sempre più tempo fuori casa a bighellonare con i suoi amici. Disadattato, disilluso, pieno di rancore verso tutto ciò che lo circonda, il ragazzo diviene facile preda del fondamentalismo. "Ti è mai capitato di essere così fuori di te da vederti davvero altrove? Di essere affacciato alla finestra e di guardare la strada, dove ci sei solo tu seduto sul marciapiede di fronte? A me sì. Tutte le notti, quando i miei dormivano. Me ne stavo come uno spaventapasseri contro il vetro e osservavo il ragazzo seduto sul marciapiede di fronte. Era uno spettacolo schifoso, Rayan. Un schifosissimo spettacolo di merda. Non avevo un briciolo di compassione per il ragazzo seduto sul marciapiede. Lo disprezzavo. È terribile disprezzarsi, sai? Aspettavo che se ne andasse, che sparisse dalla mia vista. Ma non se ne andava. Preferiva restare là, sotto la pioggia, a sfidarmi. Alla fine ero io a battere in ritirata. Tornavo a letto per tentare di dormire. Ma come chiudere occhio se, fissando il soffitto, continuavo a vedere la mia immagine sospesa nel vuoto? Ero la feccia dell’umanità, Rayan, un cazzo di emarginato senza futuro, che non sapeva dove sbattere la testa e che aspettava il mattino per correre a rifarsi in una moschea. E la moschea, più che offrirmi rifugio, mi ha riciclato come un rifiuto. Ha dato visibilità e dignità a noi «intoccabili». Ha tirato fuori dalla fogna me e Driss per esporci in bella vista, come prodotti di lusso, nella vetrina degli edifici più prestigiosi. È questa la verità, Rayan. La moschea ci ha restituito il RISPETTO che ci era dovuto, il rispetto che ci avevano confiscato, e ci ha aperto gli occhi sui nostri splendori nascosti". Allora eccolo qui Khalil, orgoglioso e impavido, con l'amico Driss e altri due kamikaze, imbottiti di esplosivo e pronti a spargere sangue in una Parigi affollata di tifosi. È il suo momento, in quel vagone gremito di gente che per lui rappresenta il nemico. Infila la mano nella tasca, pensa a Driss, a Zahra, alla madre, recita la shahada e pigia il pulsante di detonazione. Sembra la fine, invece non è che l'inizio. La cintura esplosiva fa cilecca, non vi è nessuna esplosione. Khalil non va in paradiso come sperava, è ancora vivo e questo per lui rappresenta l'inferno. Il rientro a casa da sopravvissuto è più difficile di quanto avrebbe potuto immaginare. Driss si è fatto saltare in aria, i suoi compari sono scomparsi per sottrarsi alle indagini dell'antiterrorismo, la famiglia, gli amici, l'intera comunità islamica di dissocia con ribrezzo e rigetto da queste pratiche violente e insensate che rappresentano solo un piccolo numero di esaltati ma finiscono per ritorcersi contro l'intero mondo musulmano. Per Khalil si prepara un periodo di forte turbamento, di messa in discussione delle sue convinzioni e dei suoi progetti, di stravolgimento interiore e di lutto familiare. Yasmina Khadra porta il lettore nella mente di un kamikaze, provando a capire quali sono le ragioni che lo spingono, quali le idee che lo guidano, le certezze che gli infondono coraggio, dove nascono l'odio, il risentimento, come si muovono i fili che lo comandano come una marionetta esplosiva. Il racconto in prima persona è perfetto per lo scopo, lo stile di scrittura si adatta perfettamente alla drammaticità della storia, le parole, calcolate, misurate, non possono che portare ad una profonda riflessione. Non c'è giustificazione, soltanto voglia di capire. Non c'è empatia ma una fredda e razionale introspezione psicologica. Non c'è pietà, tuttavia rimane un barlume di speranza di redenzione. "«Da quanto tempo non tornavi in Marocco?». «Non me lo ricordo». «In ogni caso non ti sei perso granché. È sempre la stessa storia, qui: i ricchi da una parte, i poliziotti dall’altra, e i poveri incastrati in mezzo...». In quel preciso istante un gruppo di giovani ci superò a bordo di una Porsche scintillante, con lo stereo a tutto volume. Sui sedili anteriori c’erano due ragazzi, su quello posteriore un bamboccio foruncoloso e due ragazze che ridevano. Il conducente ci fece marameo per beffarsi della nostra carretta e pigiò l’acceleratore. Nazim spinse a sua volta sul pedale cercando di raggiungere la decappottabile. Riuscì solo a coprirsi di ridicolo. Fui tentato di voltarmi a guardare per l’ultima volta quello che mi lasciavo alle spalle. Non mi voltai... Dietro di me c’erano solo rimpianti".
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Anche per me cinque stelle piene: l'autore mette in luce per bene cosa scatta nella mente di un ragazzo musulmano quando si avvicina agli ambienti terroristici. Davvero tremendo! :(
Il tema è (purtroppo) sempre attuale, drammatico e coinvolge molte più questioni di quante se ne intravedono a prima vista. La letteratura e il cinema se ne sono "accorti" più volte, confezionando diverse opere sul tema: il film "Valzer con Bashir" mi è sembrato, a suo tempo, uno di quelli che ha le migliori potenzialità divulgative, ma, da quello che descrivi, mi sembra che anche questo testo sia molto valido.
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