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To be or not to be...
Thomas Bernhard non è uno scrittore confortante. Non descrive paesaggi bucolici e nemmeno grandi sentimenti. I suoi sono degli antieroi apatici, malati, pieni di odio e possibilmente sull’oro della pazzia e che vivono immancabilmente in un contesto ambientale ostile. Ovviamente anche i titoli di questi scritti non possono essere diversi. Questo che mi accingo a presentare si intitola “Cemento” e già qui l’impatto è duro. Trasmette freddo, durezza, solitudine, loculo. Ed effettivamente le troveremo tutte dentro.
Il personaggio principale e voce narrante, Rudolf, attende con trepidazione la partenza della sorella venuta da lui in visita, per poter iniziare il suo lavoro intellettuale, ormai in gestazione da dieci anni: un saggio sul compositore Mendelssohn Bartholdy sul quale ha accumulato nel tempo una infinita serie di documentazioni. Ora, rimasto solo, alla sua scrivania e con il vergine e candido foglio di carta davanti, la prima frase incipit del lavoro stenta ad arrivare. La sua concentrazione scivola su altri pensieri, soprattutto su quelli riguardanti la sorella, che aveva destabilizzato la sua routine, dandole la colpa di questo suo blocco letterario. Cambia posto e inizia a passeggiare per la casa, da una stanza all’altra e da una poltrona all’altra e nel suo peregrinare come uno fantasma in una casa abbandonata, ripercorrerà in un maestoso soliloquio tutte le sue paure, delusioni, esperienze, criticherà come suo solito tutti e tutto compreso sé stesso.
In Bernhard però, nonostante prevalga la cupezza come anticipato, il tono della narrazione non è mai monocorde, infatti, nonostante il titolo duro “Cemento”, il personaggio si dimostra invece molto fragile e desideroso di vita. Rispetto ad altri scritti di Bernhard in cui l’amore viene espresso generalmente solo verso la sua terra natia, qui sembra far capolino un amore universale verso l’umanità. Ho scoperto in questo libro dal titolo più che significativo un Bernhard che esce fuori dal suo guscio, dimostrandosi in tutte le sue debolezze e incertezze. Dico Bernhard e non Rudolf perché il libro è carico di elementi autobiografici così come la maggior parte dei suoi romanzi. Il personaggio di questo libro si ritrova a fare i conti con una solitudine che ha cercato e che si è costruito per tutta la vita, ma della quale inizia ad avvertire la freddezza delle sue pareti che gli si stringono intorno creando una sorta di loculo. Inaspettatamente, vuole uscirne, vuole riprendere a vivere e a viaggiare, e a scrivere, vuole salvarsi, cosa insolita in Bernhard. Addirittura la narrazione si apre all’esterno con la descrizione del viaggio a Palma di Maiorca che Rudolf intraprende e con l’inserimento di altri personaggi. Tendenzialmente l’autore punta su un unico personaggio in un ambiente stagnante che racconta di sé e della sua famiglia senza altre storie personali. Invece qui c’è un cambio di rotta, il personaggio cerca di salvarsi intraprendendo questo viaggio ma dovrà far fronte con un caro conto da saldare.
Quando questo libro è uscito per la prima volta nel 1982, la critica lo ha accolto con titoli diffamatori, perché tutti i suoi libri contengono immancabilmente critiche rivolte anche alla società e ai politici di allora, verso i quali non usa mezzi termini, anzi, in “Cemento” l’ho trovato ancor più diretto:
“Dover leggere quotidianamente i giornali e la loro spazzatura di politica locale, la loro stupida porcheria economico-politico-culturale. Non essere capace di sottrarmi a questi giornali e alle loro vomitevoli creazioni, perché d’altra parte sono costretto a divorare quotidianamente questa merda giornalistica con tanta frenesia proprio come se soffrissi di una perversa voracità gazzettistica. Soprattutto, sebbene ne abbia la volontà, realmente volontà di sopravvivenza, non essere capace di sottrarmi a questa voracità nei loro riguardi, a tutti questi perversi racconti dell’orrore da Ballhausplatz, dove un cancelliere che è diventato un pericolo pubblico impartisce ordini ai suoi ministri del cazzo altrettanto pericolosi. A tutti questi bollettini parlamentari da far rizzare i cappelli che mi assordano quotidianamente e insultano il mio intelletto e sono impacchettati nell’ipocrisia cristiana.”
Un Bernhard che demolisce in ogni suo scritto l’immagine paradisiaca dell’Austria, e ogni volta la critica lo dilaniava, c’è sempre stata ascia da guerra tra loro, che annebbiati dalla questione politica del contenuto non prestavano e non rendevano onore a tutta la parte restante in cui l'autore scavava nel profondo dell’animo umano e che rimane l’aspetto più incisivo e principale della sua opera:
“Vediamo il declino dove ci aspettiamo l’ascesa, vediamo la disperazione dove nutriamo la speranza, questo è il nostro errore, la nostra sventura. Pretendiamo sempre tutto là dove è naturale ci sia ben poco da pretendere, e questo ci deprime. Vogliamo vedere l’uomo sulla vetta e quello già fallisce nella bassure, vogliamo realmente ottenere tutto e realmente non otteniamo niente. E naturalmente poniamo a noi stessi le richieste massime e ultramassime, trascurando del tutto la natura umana che per queste massime e ultramassime proprio non è tagliata. Lo spirito universale sopravvaluta per così dire quello umano. Noi falliamo sempre anche perché abbiamo posto la misura troppo di qualche centinaio di percentuali più alta rispetto a quanto ci si addice. E vediamo, se vediamo, ovunque e in qualsiasi direzione volgiamo lo sguardo, solo dei falliti che hanno posto la misura troppo in alto.”
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Amo la scrittura dell'autore, ma non ho letto questo libro.
E' vero : i libri dello scrittore non deprimono affatto, benché chi li ha scritti sia un depresso.