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Eravamo una casa piena di sognatori
In questo romanzo praticamente perfetto di John Fante Il 1933 è davvero Un anno terribile (“Siamo nei guai… dobbiamo soldi a tutti”) per il giovane Dominic Molise e per la sua famiglia italo-americana.
Dominic, come il Bandini della saga di Chiedi alla polvere, sogna a occhi aperti (“I Chicago Cubs… I miei futuri compagni di squadra”) e, nel delirio del sogno, dialoga con il suo Braccio, strumento necessario per la realizzazione del sogno.
Sotto le pressioni di una nonna arzilla e impicciona che non si rassegna alla condizione di emigrata (“Tutti i ragazzi di diciassette anni dovrebbero confessarsi almeno due volte al giorno”), con una mamma-matriarca che rimane in secondo piano (“Mettiti la calza. E continua a pregare”) e l’immancabile padre semi-disoccupato e dongiovanni (“Ci manteneva giocando a biliardo, in inverno”), Dominic ne combina di ogni colore: scopre il sesso (“Spaventosa come un nido di topi… ), va all’assalto di Dorothy Parrish, sorella dell’amico, concepisce un folle piano per realizzare il suo sogno di gloria (“La betoniera… l’abbracciai e la baciai, e piansi per mio padre e tutti i padri, e anche per i figli, perché eravamo vivi in quell’epoca, per me stesso, perché sarei dovuto andare subito in California, e non avevo scelta, dovevo farcela”).
Questo romanzo è un autentico spasso. Imperdibile per i cultori di Fante, può ben rappresentare un ottimo inizio per chi non abbia mai letto l’autore.
Giudizio finale – citazione: “Sognatori, eravamo una casa piena di sognatori”, John Fante
Bruno Elpis