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Jean Claude Romand
«Credo di non aver mai provato in vita mia un malessere fisico e morale così violento, e malessere è un termine troppo blando, sentivo crescere dentro di me, dilagare, pronto a sommergermi, l’indicibile panico dei vivi. Dopo diverse ore, di colpo, è finito tutto. Ogni cosa è diventata fluida e libera, e io mi sono reso conto che stavo piangendo a grandi lacrime calde, lacrime di gioia. Mai avevo provato un malessere simile, mai ho provato un simile senso di liberazione. Per un attimo sono rimasto senza capire, immerso in quella specie di estasi amniotica.»
All’OMS nessuno lo conosceva. All’ordine dei medici non era nemmeno iscritto. Il suo nome non figurava nelle liste degli ospedali parigini in cui sosteneva di aver fatto tirocinio, né in quelle della facoltà di Medicina di Lione, benché tanti amici, quali Luc, sostenessero di essere stati suoi compagni di studi all’università. Di fatto, gli studi li aveva cominciati davvero ma aveva smesso di dare esami alla fine del secondo anno e da quel momento per dodici anni aveva continuato ad iscriversi al medesimo studiando con colleghi e amici ma senza mai presentarsi alle prove di accesso al triennio universitario e ancora meno ad ogni altro test atto a superare lo studio effettuato. Da quel momento, tutto è stato falso. E lui è stato un truffatore di amici e parenti, un padre e un uomo gentile, un rispettabilissimo e insospettabile pluriomicida.
La tragedia. È il 9 gennaio 1993 quando il “dottor” Jean-Claude Romand uccide la moglie, i due figli e i genitori. Il tentativo di suicidio, preventivato e ipotizzato per mesi, fallisce perché mai davvero calcolato. La sua vita così magistralmente costruita sulle menzogne si sgretola, si disintegra portando luce a ogni fandonia raccontata per diciotto anni. Come continuare a vivere sotto gli occhi di chi lo ha scoperto rendendosi conto di essere stato ingannato? Meglio ucciderli e poi uccidersi e chiudere così ogni conto e non dover affrontare lo sguardo inquisitore. Ma Romand è sopravvissuto ed è stato condannato. Nel 2019 per la prima volta è destinatario della misura della libertà vigilata.
Non è difficile immedesimarsi nella curiosità che ha spinto Emmanuel Carrrère ad avvicinarsi a questa storia a cercare di ricostruirne i vari aspetti, le varie sfumature e le molteplici vicissitudini. Così come, non è difficile, comprendere le difficoltà che si sono celate dietro questo scrivere, uno scrivere che si è dibattuto e perpetrato per quasi una decina d’anni in un continuo di tira e molla, di un’attrazione che portava l’autore a voler comprendere le ragioni più intime dell’omicida sino ad allontanarsene quasi come se l’esservisi avvicinato troppo potesse essere in un qualche modo troppo pericoloso, troppo invasivo.
Interessante è anche la riflessione che coinvolge il francese circa la posizione dei fatti da assumere, da interpretare per dare una giusta narrazione all’intero contenuto. Carrère si pone delle domande e a sua volta ce le ripropone seppur consapevole che a queste di fatto una risposta non vi sia. Alterna una narrazione cronistica atta a ricostruire i fatti con anche missive provenienti da Romand stesso a un tentativo di entrare all’interno della sua psiche così da comprendere davvero le motivazioni, le idee, i pensieri che lo hanno spinto a un gesto così eclatante. Tuttavia, questo alternare, rende la lettura talvolta un poco fredda, prevalentemente cronistica, tanto da tendere a tenere distante il lettore che quindi compie un viaggio introspettivo parziale e totalmente incentrato sulle sue forze. Non viene aiutato dal romanziere tanto che si auto monitora nel tentare di bypassare lo scudo di mistero che avvolge Jean Claude. Non giudica Carrère e come lui, non giudica il lettore che mira ad intraprendere il viaggio interiore.
E chissà che non sia proprio questa la forza di questo componimento. E chissà che non sia proprio quest’assenza di riposte il perno che spinge ad andare avanti. E chissà se la certezza sopravviverà al dubbio di quel gran quesito che ruota attorno a una fatidica domanda: vittima o carnefice?
«Invece non esisteva un’altra scena, un altro pubblico davanti al quale recitare quell’altro ruolo. Fuori, era completamente nudo. Tornava all’assenza, al vuoto, al nulla che per lui non costituiva un incidente di percorso ma l’unica esperienza della sua vita. La sola che abbia mai conosciuto, credo, anche prima di ritrovarsi al bivio.»
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Bella recensione, come sempre. :)
Vale.