Dettagli Recensione
La brutalità e vacuità della guerra
Per quanto riguarda le letture, il mio 2020 è cominciato alla grande. Questo libro di Remarque (che segna il mio primo approccio con l’autore) è probabilmente l’opera più bella che ho letto da inizio anno e che darà parecchio filo da torcere a chiunque cerchi di superarla.
Si, perché “Niente di nuovo sul fronte occidentale" è un capolavoro: devastante, duro, crudo, triste, ma un capolavoro. Nella mia storia di lettore mi sono ritrovato davanti opere basate principalmente sulla seconda delle due grandi guerre, nella maggior parte dei casi vista dalla parte degli “oppressi” o comunque dei “buoni” (anche se si tratta di termini vaghi); riguardo alla Prima Guerra Mondiale e del punto di vista dei “tedeschi brutti e cattivi” non avevo mai approcciato nulla, fino ad ora. Devo dire che, pur appartenendo alla più “snobbata” (avete notato quante virgolette sto usando?) delle due grandi guerre, non credo di aver mai letto un’opera potente ed emozionante quanto questa, riguardo al tema della guerra e di tutto ciò che ne concerne.
Remarque ci fa camminare accanto a degli sventurati soldati tedeschi, che non sono mostri ma soltanto uomini, che si trovano a combattere e morire in massa per una guerra che in fondo non è la loro; per degli ideali e delle offese che persone in poltrona hanno giudicato imperdonabili e da lavare nel sangue, che tuttavia non sarà il loro ma quello di una generazione che ha come unica colpa quella d'esser nata nel momento sbagliato della Storia. Una generazione che sarà artefice del suo stesso annichilimento: uomini si trovano a stroncarne altri senza nemmeno sapere chi siano e costringono sé stessi a vederli come dei semplici fantocci da abbattere, cosa che può risultare semplice dalla distanza necessaria allo sparo d’un proiettile o al lancio d’una granata, ma che diventa insostenibile quando lo strumento di morte diventa un coltello e la morte che abbiamo generato si mostra davanti ai nostri occhi, coi suoi gorgoglii e con la vita che si aggrappa disperatamente a quel corpo in convulsione. E allora ci si rende conto che quei fantocci non sono tali, che come te hanno una casa e una famiglia che hanno dovuto lasciare e alla quale vorrebbero tornare. Non siete poi così diversi; diversi sono solo gli uomini che hanno scelto di mandarvi a morire.
Seguendo i giorni al fronte di Paul Baümer, Stanislaus Katczinsky e compagnia diventeremo i loro camerati: Remarque ci getta in mezzo a loro con la sua scrittura potentissima; ci rende partecipi delle loro paure, dei loro desideri, delle loro difficoltà, e dei loro fugaci momenti di pace. C'è davvero tantissimo su cui riflettere, e non vi succederà di rado di fermarvi a pensare a ciò che avete appena letto. Si pensa spesso ai soldati come a una massa d'uomini senz'anima; la conta dei morti non significa molto se non v'è in mezzo il nome d'una persona cara, e anche in quel caso il dolore è canalizzato su quella persona soltanto, mentre la massa intorno resta sfocata e il numero... è un numero e basta. Ma quel numero è fatto di tante persone care a qualcuno, e ogni unità che accresca il totale aumenta in maniera esponenziale la miseria e la tragedia umana. Come si possono svestire tanti uomini della propria anima e condurli al macello in questo modo? Se chi sceglie di muovere guerra a un altro sapesse cosa stronca nel mandare a morire anche il più miserabile degli uomini, lo farebbe? Non lo sa, non ci pensa o non vuole pensarci? Che razza di uomo è, in ognuno di questi casi?
Remarque ci sbatte in faccia la realtà VERA; non una che potrebbe presentarsi se dovessimo perseverare nella nostra cattiva condotta, VERA. Ci mostra quello di cui siamo stati già capaci.
Ed è qualcosa a cui dovremmo pensare più spesso.
Ed è qualcosa di cui dovremmo DAVVERO ricordarci.
Questo libro va letto assolutamente e non v'è stomaco debole che possa giustificarci. V’è rappresentato il vero e proprio dramma dell'umanità, in cosi tante sfaccettature che ne resterete davvero disorientati.
Non aspettatevi benevolenza.
Non siamo mai stati buoni con noi stessi. È la dura verità e la verità va affrontata, prima o poi.
“[…] non siamo più giovani, non ci interessa più dare l’assalto al mondo. Siamo dei profughi, fuggiamo da noi stessi. Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo e l’esistenza: ci hanno costretti a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al cuore. Siamo esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, non ci crediamo più. Crediamo nella guerra.”
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Commenti
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mi segno il titolo che hai citato, lo prenderò prima possibile. Nel frattempo ho già ordinato "La notte di Lisbona" di Remarque... questo autore mi ha colpito tantissimo!
Vale.
Grazie Valerio, ottimo commento.
questo libro mi ha colpito in un modo che non avrei neanche lontanamente immaginato... leggilo!
Vale.
grazie mille per i tuoi complimenti. Quando un libro ci colpisce al cuore, è molto facile parlarne e tesserne le lodi... e questo è davvero uno di quei libri che restano impressi e che vanno letti assolutamente. Fallo, non te ne pentirai.
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