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IL SEGRETO DEL MONDO O L'EPIFANIA DELLA PAZZIA
“Mi sentivo come dentro un incubo ricorrente. Quando mi sarò svegliato, pensai, mia madre mi preparerà un panino alla mortadella e andrò al liceo. Ma non mi sarei svegliato.”
“La letteratura nazista in America”, scritta da Bolano nel 1996 con un taglio enciclopedico di stampo inequivocabilmente borgesiano (penso soprattutto al Borges di “Finzioni” e di “Storia universale dell'infamia”), è un'antologia totalmente inventata della letteratura di estrema destra prodotta in America nel XX secolo. Nell'ultimo capitolo si narra la storia di Ramirez Hoffman, “l'infame”, un poeta-performer futurista, divenuto popolare nel Cile di Pinochet per le sue poesie aeree scritte nel cielo con le scie di fumo rilasciate dal suo monoposto, ma anche per aver torturato e ucciso decine di oppositori del regime militare, ritraendoli poi in macabri scatti con la sua macchina fotografica. “Stella distante” riprende pari pari (a parte il francamente superfluo cambio dei nomi: Ramirez Hoffman diventa Carlos Wieder, le sorelle Venegas diventano le sorelle Garmendia, Cecilio Macaduck diventa Bibiano O'Ryan, e così via) questa vicenda e, allargando la prospettiva storica, ampliando il panorama culturale di riferimento, inserendo nuovi personaggi e nuove sotto-storie al suo interno, trasforma quello che era un racconto di poche pagine, scarno ed essenziale, in un romanzo vero e proprio. Confesso di essermi emozionato scoprendo che il narratore della storia di questo poeta-aviatore-serial killer altri non è se non Arturo Belano, il futuro protagonista del meraviglioso “I detective selvaggi” nonché alter ego dell'autore in svariati altri racconti (un po' come il Nathan Zuckerman di Philip Roth). Ciò mi ha portato istintivamente a fare tanti parallelismi, a rintracciare tante somiglianze, con “I detective selvaggi” e con “2666”: anche in “Stella distante” c'è infatti in primissimo piano il mondo della poesia d'avanguardia e sperimentale (con tanto di seminari di poesia tenuti in aule universitarie di medicina che puzzano di formalina, di reading letterari semi-clandestini, di “poeti sperduti” nel deserto, di strampalate correnti pseudo-artistiche e di personaggi che stanno “sempre lì a discutere di poesia anche se il Cile andava a remengo”); c'è anche la descrizione esaltata e a suo modo romantica della giovinezza (un romanticismo che si potrebbe definire “alla Kerouac”, se solo Kerouac fosse stato più intellettuale), un periodo spensierato in cui si parla di tutto, di poesia, di politica, di arte e di lotta armata (“la lotta armata che ci avrebbe dispensato una nuova vita e una nuova epoca, ma che per la maggior parte di noi era come un sogno o, più esattamente, come la chiave che ci avrebbe aperto la porta dei sogni, gli unici per cui valesse la pena vivere. E sebbene vagamente sapessimo che spesso i sogni si trasformano in incubi, questo non ci importava.”); c'è il nomadismo di chi gira il mondo per necessità (il Cile degli anni '70 non era infatti il “migliore dei mondi possibili” in cui vivere) o per vocazione; e infine c'è la violenza, una violenza sadica, brutale, immotivata, espressione di un male assoluto che, in un mondo privo di valori, viene persino perseguito, da menti malate come quella del protagonista, alla stregua della più pura e catartica espressione di bellezza e di verità. La violenza storica (quella del regime militare di Pinochet) si intreccia a quella privata, e si ipostatizza in un personaggio, quello di Carlos Wieder, dalla torbida e terrificante ambiguità. La glaciale imperturbabilità di quest'uomo, il suo fascino amorale e perverso incarna alla perfezione la banalità del male, diventando al contempo il simbolo stesso della sua pervasività e della sua immanenza. Come un cancro, i mostri come Wieder si occultano nelle piaghe marcescenti della società, aggirandosi come inquietanti fantasmi che scompaiono e riappaiono nei luoghi e nei momenti più impensati (e i delitti seriali di “2666” sembrano originare proprio da questo romanzo seminale). Il male che Bolano descrive non si può affrontare facilmente, perché è viscido e sfuggente: l'amico intimo del narratore, Bibiano O'Ryan, si impegna per tutta la vita a rintracciare Wieder, attraverso tracce sempre più labili, indizi sempre più inconsistenti e frammentari, ma inutilmente (“Bibiano tenta di non battere ciglio affinché il suo personaggio non gli svanisca sulla linea dell'orizzonte, ma nessuno, e tanto meno in letteratura, è capace di non battere ciglio per un lasso di tempo protratto, e Wieder svanisce sempre”). Il narratore sogna una notte di naufragare a bordo di un galeone e, aggrappato a un pezzo di legno, vede a pochi metri da lui Wieder: “Capivo in quel momento, mentre le onde ci allontanavano, che Wieder e io avevamo viaggiato sulla stessa nave, solo che lui aveva contribuito a farla affondare mentre io avevo fatto poco o nulla per evitarlo”. Bolano esprime così i sensi di colpa di una generazione di intellettuali che, seppure non collusa col potere, è nondimeno incapace di arginare la violenza della Storia. Non è un caso che a ritrovare e a uccidere Wieder non sia Belano e neppure Bibiano, ma un ex poliziotto cinico e dai modi spicci, i cui occhi non più innocenti hanno imparato a non farsi ipnotizzare dall'orrore (con sublime ironia, Bolano rovescia il racconto biblico, facendo uccidere Caino da Abele – Abel è infatti il nome di battesimo del poliziotto-giustiziere).
Bolano utilizza, come ne “I detective selvaggi” e in “2666”, una trama da romanzo giallo, ma il suo è un finto giallo (un po' come finti gialli sono certi racconti di Borges e di Durrenmatt). L'occhio del lettore infatti non ha mai il diritto di entrare nei luoghi dei delitti, nelle camere di tortura, e neppure nella stanza dove, con inaudita impudenza, Wieder allestisce per i suoi amici e colleghi una mostra fotografica dove sono presumibilmente esposti gli scatti delle vittime dei suoi brutali omicidi; neppure ha modo di seguire l'evoluzione delle investigazioni della polizia o dei detective privati. Quello che a Bolano interessa è descrivere una violenza ontologica, inestirpabile, e il suo stile straniato e antiemozionale produce proprio, paradossalmente, l'effetto di accrescere l'orrore nel lettore, che si trova di fronte a crimini tanto più insopportabili quanto più normali, privi di ogni carattere di straordinarietà (in questo senso la monotona descrizione dei delitti, che trova il suo apice nella quarta parte di “2666”, dove vengono sciorinati uno dopo l'altro, come in una macabra litania, gli innumerevoli omicidi di Santa Teresa, è quanto mai funzionale ad incrementare la sensazione che il male è dappertutto, oscuro e impenetrabile, e in esso, se solo si sapesse guardarlo – ma l'arte, ahimè, è per Bolano pateticamente incapace di farlo - “c'è nascosto il segreto del mondo”).
Insieme all'inspiegabilità del male, c'è in “Stella distante” il tema dell'impossibilità di decifrare la verità. Tutta la storia di Carlos Wieder e degli altri personaggi del romanzo è costellata di espressioni dubitative, come “tutto quanto finora raccontato forse accadde così […] Ma forse tutto accadde altrimenti”, “seppi da un amico (pur non sapendo se la storia sia vera)...”, “più della metà delle storie vengono falsificate oppure sono soltanto l'ombra della storia reale”. La realtà resta, nonostante tutti gli sforzi dei suoi interpreti, impenetrabile ed enigmatica. Proprio come nel principio di indeterminazione di Heisenberg, non appena si tenta di afferrarla, la verità, lungi dal palesarsi, si occulta sempre di più (basti pensare al beffardo finale de “i detective selvaggi”, in cui gli amici realvisceralisti cercano per tutto il romanzo la poetessa Cesarea Tinajero, ma, quando finalmente la trovano, ne provocano involontariamente la morte). In “Stella distante” ci sono tanti esempi di questo paradossale assunto: ad esempio, quando Bibiano, dopo aver cercato dappertutto tracce della epica carriera da guerrigliero di Juan Stein, scomparso dopo il golpe militare ma periodicamente riaffiorante tra i rivoluzionari sandinisti in Nicaragua, tra i combattenti internazionalisti in Angola, tra i componenti del commando che assassina Somoza in Paraguay, e infine tra i caduti del Fronte Farabundo Martin in San Salvador, quando Bibiano – dicevo – tenta di mettersi in contatto con la sua famiglia d'origine, scopre – forse – che l'uomo è morto senza mai essersi mosso dal Cile. Ma quella di Juan Stein è solo una delle tante micro-storie presenti in “Stella distante”. Bolano si conferma infatti uno straordinario inventore di storie, che nel romanzo proliferano, si moltiplicano e si ramificano, dando origine a una costruzione narrativa particolarissima, strabordante di riferimenti culturali (autentici o fittizi) e inconfondibile nel suo stile oscillante tra fredda e cronachistica asetticità e narrazione mitologica (troviamo così le vicende parallele dei poeti-amici Juan Stein e Diego Soto, dai destini divergenti eppure così tragicamente simili, quella di Lorenzo, il ragazzo senza braccia il quale, avendo capito che “uccidersi, in questa circostanza sociopolitica, è assurdo e ridondante”, decide di trasformarsi in un poeta segreto, quella della setta degli “scrittori barbari”, i quali cercano, defecando, orinando e masturbandosi sui capolavori letterari del passato, di ottenere una magica fusione con essi, e tante altre ancora). “Stella distante” ha pertanto un andamento perennemente centrifugo, cui neppure l'inesorabile finale riesce a dare un senso di compiutezza, e la stessa storia di Wieder appare volutamente irrisolta, sfrangiata, fuori fuoco (“era la storia di qualcosa di più, anche se allora non sapevo di cosa”), una storia che è probabilmente l'emblema di una follia che, come un incubo sognato ad occhi aperti, ha segnato come una maledizione tutta la prosa inquieta e ironicamente dolorosa di questo lucidissimo e imprescindibile autore.
Indicazioni utili
"Finzioni" di Jorge Luis Borges
"Storia universale dell'infamia" di Jorge Luis Borges
Commenti
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Avevo infatti letto soltanto "La pista di ghiaccio", in cui la malinconia di fondo è la stessa, ma manca quel disorientamento, quell'indeterminatezza che qui sono protagonisti assoluti.
Questa recensione testimonia la tua profonda conoscenza dell'autore.
Grazie quindi per l'arricchimento.
Un caro saluto,
Manuela
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