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“Ehi, della vita! Nessuno risponde? “
Per chi volesse accostarsi a questo libro, la prima informazione utile da possedere è che si tratta di un insieme di testi ( inteso il testo come insieme di parole scritte aventi un messaggio e veicolate da una struttura linguistica comprensibile perché normata) sicuramente letterari ma non definitivi , giustapposti l’uno all’altro non per un disegno artistico voluto dal suo autore ma secondo criteri semplicemente tematici adottati da Jacinto do Prado Coelho che, nel 1982, ha curato la prima edizione critica di un centinaio di fogli manoscritti, in parte fascicolati dallo stesso Pessoa e autografati con il titolo “Livro do Desassossego”. Il libro però non è di Pessoa ma è attribuito al suo eteronimo Bernardo Soares, per cui ci troviamo di fronte a un non libro e a un non autore. La prima operazione richiesta al lettore, investito dl ruolo di narratario dall’autore, è quello di prendere atto dell’esistenza di Bernardo Soares, dopo di che il lettore in quanto narratario sparisce perché l’autore non lo contempla più e lo annulla insieme a se stesso facendo permanere solo il lettore reale, quello che fisicamente sta con il libro in mano a cercare di capire quale sarà la storia narrata. Fin dalle prime pagine, superata la presentazione dell’eteronimo, anche la storia attesa non ci sarà. Il lettore compie un vero e proprio viaggio dentro la vita mentale di Bernardo Soares/Pessoa abituandosi presto alla mancanza assoluta di continuità fra un pensiero e l’altro e ciò si realizza nonostante l’accorpamento tematico di cui abbiamo parlato prima. Eppure lentamente il lettore è indotto a cercare una sorta di filo conduttore e, mettendo insieme le piccole contingenze del quotidiano, l’accenno agli spazi interni ed esterni rappresentati, o quelli alle persone che incrociano il nostro, si arriva a definire un quadro sommario di riferimento. Bernardo è un contabile, vive in affitto al quarto piano di un palazzo che si affaccia su Rua do Douradores, e vive affacciato al mondo che quella visuale gli offre; si sposta tuttavia nel suo quotidiano anche in altri spazi : l’ufficio e le vie di Lisbona. Bernardo è però fondamentalmente un pensatore, un insonne, uno scrittore, un poeta e soprattutto un incapace: non sa vivere. Confessa dunque in questa sorta di autobiografia il niente che ha da dire o meglio l’insieme delle impressioni che sovraffollano il suo pensiero inchiodandolo in una consapevole e forse voluta inazione. Bernardo, nonostante la pesantezza del suo affermare, sa però esserci simpatico semplicemente perché è un essere sospeso e intrappolato in quel pensiero che, mi verrebbe da asserire volgarmente, per fortuna, attraversa momentaneamente la mente di molti uomini; il pensiero che si perde nella contemplazione della vita, nel suo mistero, nella lettura degli episodi significativi dell’esistenza, nella decodifica delle relazioni che instauriamo con noi e con gli altri. La restituzione concentrata delle sue fantasticherie, dei suoi sogni ad occhi aperti, di quelli nella dormiveglia di una cronica insonnia, del suo stesso sogno che è la vita , a dirla come Quevedo, è ciò che ce lo rende di fatto necessario e simpatico. È tutto ciò che avremmo voluto sentire e anche no, è il coraggio di arrancare dentro un mistero riconoscendosi miseri e finiti.
REPRESÉNTASE LA BREVEDAD DE LO QUE SE VIVE Y CUÁN NADA PARECE LO QUE SE VIVIÓ:“Ah de la vida!”... “Nadie me responde? / Aquí de los antaños que he vivido! / La Fortuna mis tiempos ha mordido; / las Horas mi locura las esconde. / Que sin poder saber cómo ni adónde / la salud y la edad se hayan huido! / Falta la vida, asiste lo vivido, / y no hay calamidad que no me ronde. / Ayer se fue; Mañana no ha llegado; /Hoy se está yendo sin parar un punto: / soy un Fue, y un Será, y un Es cansado. / En el hoy y mañana y ayer, junto / pañales y mortaja, y he quedado / presentes sucesiones de difunto.
Ehi, della vita! Nessuno risponde?
Voglio qui tutti gli anni che ho vissuto!
La Fortuna il mio tempo ha già compiuto,
la mia pazzia le Ore mi nasconde.
Ch’io non possa saper come né dove
la salute e l’età sono fuggite!
Manca la vita, c’è l’aver vissuto.
Non v’è calamità che non mi provi.
Ieri sparì, Domani non è giunto,
l’Oggi se ne va via senza fermarsi;
sono un Fu, un Sarà, un È già smunto.
Nell’oggi, ieri e domani congiungo pannolini e sudario,
son rimasto eredità presente d’un defunto.
(Francisco Quevedo da Sonetti amorosi e morali, trad. it. di V. Bodini, Einaudi, Torino, 1965)
Quevedo ma non solo, Thomas Mann con Hans Castorp: «Il singolo può avere di mira parecchi fini, mete, speranze, previsioni, donde attinge l’impulso ad elevate fatiche e attività; se il suo ambiente impersonale, se l’epoca stessa, nonostante l’operosità interiore, è in fondo priva di speranze e prospettive, se furtivamente gli si rivela disperata, vana, disorientata e al quesito formulato, coscientemente o no, ma pur sempre formulato, di un ultimo significato, ultrapersonale, assoluto, di ogni fatica e attività, oppone un vacuo silenzio, ecco che proprio nel caso di uomini dabbene sarà quasi inevitabile un’azione paralizzante di questo stato di cose, la quale, passando attraverso il senso morale psichico, finisce con l’estendersi addirittura alla parte fisica e organica dell’individuo. Per aver voglia di svolgere un’attività notevole che sorpassi la misura di ciò che è soltanto imposto, senza che l’epoca sappia dare una risposta sufficiente alla domanda “a qual fine?”, occorre o una solitudine e intimità morale che si trova di rado ed è di natura eroica o una ben robusta vitalità. Né questo né quello era il caso di Castorp, sicché si dovrà pur dire che era mediocre, sia pure in un senso molto onorevole».
Ma i richiami letterari sono infiniti e ricchi di suggestioni che spazierebbero per Kafka, Musil, Proust, Pirandello. Un grande libro fra i grandi.
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