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Tra cronaca giudiziaria e romanzo d'autore
Come definire questo classico moderno? Avvalendosi delle parole del traduttore Alberto Rollo, in questa nuova edizione Garzanti appositamente rivisitata: A sangue freddo è una “non-fiction novel", ma anche un incrocio tra un romanzo-verità ed il reportage giornalistico. La vicenda di cronaca nera che rappresenta la spina dorsale di tutto il libro è rappresentata dall’omicidio di quattro membri della famiglia Clutter (padre, madre e due figli) dentro la loro casa, una grande azienda agricola nello stato americano del Kansas. Omicidi brutali compiuti da due giovani killer “a sangue freddo” (“…sono sicuro che non ho mai fatto fuori quattro persone a sangue freddo”). Il merito di Capote è sicuramente quello di dedicarsi anima e corpo ad un estenuante lavoro di ricostruzione dei fatti, mettendo insieme sei anni di indagini condotte per conto del “New Yorker” con l’aiuto della sua amica d’infanzia Harper Lee.
Il valore aggiunto dell’opera sta proprio in questo stile particolare di cui si avvale Capote. Da una parte un taglio squisitamente giornalistico, in cui racconta dall’esterno, senza mai giudicare e limitandosi a presentare i fatti, dall’altro un approccio tipico del romanziere, dilungandosi in approfondite descrizioni del Kansas e della contea dove è ambientata la storia (“Il villaggio di Holcomb sta sulle alte pianure di frumento del Kansas occidentale, un’area solitaria che gli altri abitanti del Kansas chiamano “laggiù”…..Tutto è piatto e la vista si spinge così lontano da togliere il fiato; cavalli, mandrie di bovini, un bianco torreggiare compatto di silos per il grano”), o ancora nei dialoghi serrati tra i due killer che pianificano gli omicidi e successivamente si interrogano chiedendosi se riusciranno a farla franca.
Quello che ulteriormente emerge dalla lettura sono le ultime 30-40 pagine però, le più dure, che costituiscono un vero pugno nello stomaco con la dettagliata descrizione del braccio della morte e degli ultimi anni di carcere (e di speranza anche per una serie di ricorsi legali) dei due killer nella prigione del Kansas dove saranno impiccati.
E’ qui che Capote non esita a entrare nel merito del sistema giudiziario americano, perché lo snodo centrale non è tanto se ritenere gli imputati colpevoli o innocenti, bensì se applicare la massima pena – la pena di morte per l’appunto- oppure commutarla in un ergastolo. In queste pagine ci stanno le due anime dell’America, quella più tradizionalista che ritiene la pena capitale il giusto castigo e quella che invece la ritiene un’inutile barbarie, perché comunque per togliere la vita ci vuole un enorme coraggio, un gran sangue freddo (“E cosa dici del fatto che il bastardo finisce impiccato? Anche per quello ci vuole un bel po’ di sangue freddo”), considerando che prima del sopraggiungere della fine “quel cuore ha continuato a battere per diciannove minuti”.
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Questo libro mi pare assai diverso, ma preferisco attendere.
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p.s.: se ti affacci verso i gruppi di discussione avrai modo di vedere che ci stiamo organizzando per un gruppo di lettura, che ne dici? Ti piacerebbe farci compagnia?