Dettagli Recensione
La strada dell'umanità
«La condizione naturale del mondo, il suo stato dominante, era il silenzio assoluto, e l’illogica benedizione di tutto ciò era che le creature che fanno rumore, ossia la quasi totalità del genere umano, volevano solo stare vicino ad altro rumore, lasciando vuoto e sereno quasi tutto il pianeta.»
Due uomini, 4 e 9. Due nomi numerici perché per l’azienda, che vuole restare anonima, tutto è più semplice se si seguono linee organizzative precise e meticolose che riducono al minimo l’interazione umana, tra dipendenti così come tra soggetti e interlocutori esterni. Obiettivo della missione: la costruzione di una strada che avrebbe avuto il compito di collegare il nord al sud, il sud al nord. Siamo in un paese africano che è stato devastato dalla guerra civile, un paese africano diviso in fazioni nemiche e dove regnano il nulla, la povertà e le mine. La strada, che dovrà essere lunga 230 km a due corsie e che dovrà essere conclusa in circa dodici giorni e prima della tanto attesa parata inaugurale, rappresenta un collegamento ma è anche simbolo di rinascita. Mentre 4 ha il compito di guidare l’asfaltatrice raggiungendo ogni giorno la capsula successiva contenente l’asfalto e il carburante per l’RS-80, 9 ha il compito di guidare il quad, di precedere il collega e di avvertirlo di ogni pericolo e di ogni interferenza presente sul percorso che deve essere asfaltato. I due sono però tra loro molto diversi: mentre 4, soprannominato Orologio per la sua scrupolosità, è ligio al dovere e ferreo nell’esecuzione delle direttive dei capi, 9 si lascia andare a quel che incontra, è un edonista, non si sottrae alla carne – al posto delle barrette essiccate – così come non si sottrae ai suoi piaceri con le avvenenti abitanti del posto. La strada è disseminata da tracce di guerra che vanno da enormi sacchi neri contenenti i residui di questa, a carcasse di aerei, a bambini reduci dagli scontri che, leggeri come pesi piuma, attendono una carezza o un abbraccio. Durante i giorni di lavoro si succederanno una serie di avventure tra loro eterogenee che porteranno i due protagonisti a rimettere in discussione ogni certezza e ogni legame.
Quella proposta da Eggers è una storia di amicizia a trecentosessanta gradi. È una storia di amicizia tra i due protagonisti, è una storia di amicizia e di solidarietà tra le varie culture che vengono tra loro ad incontrarsi e unirsi. Per caso, per il bisogno, per il bisogno di umanità. Il lettore è catapultato negli eventi, sente sulla pelle l’urgenza di concludere il lavoro, sente sulla pelle l’ingenuità e la bontà della popolazione locale così come la diffidenza di chi, al contrario, teme rappresaglie, teme furti, teme scorribande, teme per la propria vita. È proprio in questo frangente sente anche come il legame venga da solo a crearsi, come vi possa essere un’apertura progressiva che, con la stoccata finale dell’epilogo, porta alla riflessione. Perché forse il vero nemico non è l’uomo ma l’organizzazione che schiaccia il più debole per tutelare il proprio interesse.
Un lungo racconto che non passa inosservato e che non si dimentica.
«Aspettano che finiamo la strada? Lo capisci? È una specie di parata prima della vera parata. È una parata di speranza. Una processione di desiderio. L’istante in cui finiamo, il loro mondo si catapulta nel ventunesimo secolo. Commercio, cure mediche, accesso ai servizi del governo, informazione, istruzione, parenti, elettricità e porto del Nord.»