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Perchè io ho te e tu hai me
Pubblicato nel 1937 e tradotto da Cesare Pavese l’anno seguente, “Uomini e topi” è il libro più venduto, insieme a “Furore”, dello scrittore statunitense John Steinbeck. Nativo di Salinas, celebre centro agricolo della California.
Un testo divenuto in breve tempo leggendario, senza età.
In America, perché con questa opera di denuncia l’autore mostrò un lato del paese che gran parte del pubblico non conosceva ancora.
In Italia, perché queste furono alcune delle pagine che consentirono a molti scrittori di alienarsi e sognare un continente giovane e vergine ma già epico e ruspante, lontano dalla visione chiusa e rigida fornita dalla cultura fascista che considerava la letteratura americana sovversiva e pericolosa per la propaganda e la creazione del consenso popolare cui mirava il regime.
I protagonisti sono due lavoratori stagionali nella California del primo dopoguerra. Una terra arida, sommersa dalla galoppante crisi economica e descritta con poche ed efficaci pennellate.
Lennie Small, che a dispetto del nome è un gigante e ha la forza di un toro, ma la mente di un bambino. E George Milton, che oltre a pensare a se stesso deve preoccuparsi costantemente di Lennie, e che mostra la tipica risolutezza di chi già conosce l’amara lezione della vita.
Sono personaggi veri, umili. Abituati alla fatica, allo sfruttamento, alle ingiustizie sociali, alle discriminazioni razziali.
Ma che nonostante tutto, conservano un profondo senso della dignità. E un sogno. Quello di mettere da parte dei soldi per potersi comprare un pezzo di terra e non dover più lavorare per nessuno.
George, Lennie, gli altri lavoratori, sono perdenti. Ma desiderosi di riscatto.
Sono figure dotate di un fascino eroico, assimilabile al mito. I perdenti che soccombono di fronte ad imprese al di fuori della loro portata, gli uomini onesti sconfitti dal destino ineluttabile della loro esistenza, ma che acquisiscono un’aura immortale e inscalfibile grazie al coraggio e alla dignità dimostrati.
Lo stile di Steinbeck è misurato, affilato, ricco di dialoghi. Si attiene semplicemente ai fatti riportati senza ridondanti commenti personali, come in un articolo di giornale. Tanto è che il titolo in origine doveva essere semplicemente “Something that happened”. Qualcosa che è successo.
Le pagine finali, nella loro semplicità e brevità, sono perfette. Amare e dolorose, ma stupende e commoventi. Indimenticabili.
Come stupenda è la storia di amicizia narrata in questo breve romanzo, un rapporto vero ed autentico tra due persone che fino alla fine non hanno niente e nessuno e possono contare soltanto su se stessi e sull’altro.
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Commenti
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Cercherò di non far passare troppo tempo prima di leggere "Furore", e poi forse anche "La valle dell'Eden".
Brevi letture ovviamente diverse tra loro, ma accomunate dalla capacità di emozionare con temi e sentimenti universali.
Le ultime pagine sono tanto belle quanto dolorose.
Si crea davvero un forte legame affettivo tra lettore e romanzo.
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