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L’insonnia uccide
Non è certo il miglior Tahar Ben Jelloun quello che è tornato di recente in libreria, ancora una volta accompagnato dalla casa editrice “La nave di Teseo”, a circa un anno di distanza dalla pubblicazione de “La punizione”. Stavolta, la vicenda narrata si presenta del tutto diversa rispetto a quella autobiografica del romanzo dello scorso anno che ci aveva reso partecipi di quanto accaduto allo stesso autore quando era studente e a tanti altri giovani come lui nel Marocco della metà degli anni Sessanta, sotto il regno di Hassan II.
Anche “Insonnia” ci riconduce nel Paese maghrebino, dove uno sceneggiatore di Tangeri combatte, stremato, una lotta ormai quotidiana contro il suo cronico stato di veglia. Trama, per certi aspetti, non priva di originalità né di ingredienti mirati ad alimentare la curiosità del lettore, dal momento che l’anonimo io narrante protagonista, per riuscire a dormire, inizia a uccidere periodicamente, cosa che sembra concedere requie alle sue notti. Pur non essendo un delinquente, e tutt’altro che un uomo malvagio, cinico o insensibile, si ritrova all’improvviso dentro una spirale di morte (violenza, in questo caso, non risulta il termine più appropriato) che sembra creargli dipendenza ai fini del sonno. Per riposare ha bisogno di uccidere, anche se lui stesso non si definisce un assassino, ma un “acceleratore di morte” poiché le sue vittime, uomini e donne, sono per lo più persone di età avanzata, già moribonde con un piede nella fossa, al cui capezzale fa di tutto per trovarsi al momento cruciale dell’ultimo respiro; dà persino prova di sapersi fermare in tempo quando dubita che l’ora fatale sia giunta per l’apparente morituro di turno. Inoltre, come si accorge ben presto, più sono alti il livello sociale e il prestigio della persona di cui lui accelera il decesso, più i suoi PCS (punti credito di sonno) aumentano a dismisura garantendogli mesi, se non anni, di soddisfacente riposo notturno.
Attraverso una serie di bizzarre avventure, spesso al limite dell’improbabilità, Tahar Ben Jelloun ci racconta una storia di cui – secondo il parere della sottoscritta che pur adora questo grande scrittore – si sarebbe potuto fare tranquillamente a meno e che, alla fine, non lascia profonda traccia di sé. Siamo lontani dal livello qualitativo di romanzi come “Partire”, “Au pays” e il già citato “La punizione”, per non parlare del noto “Creatura di sabbia”, giusto per restare nell’ambito della sola narrativa. Non sono per niente d’accordo con la critica francese (France Inter) che ha definito questo nuovo lavoro dell’autore in questione “sorprendente e incalzante”, presentandolo addirittura come romanzo rivelazione dell’anno: il ritmo, tutt’altro che incalzante, si perde in una narrazione non sporadicamente piuttosto lenta, carica di riflessioni, ricordi e, a tratti, persino farneticazioni dovute all’insonnia. Del resto, chi ne soffre, in genere, non è proprio scattante. Anche del Marocco in sé, al contrario di quanto avviene in altri suoi libri, Ben Jelloun ci consegna poco o niente, semplicemente uno sfondo incolore che, fatta eccezione per qualche nome arabo e chiari riferimenti islamici, avrebbe potuto essere quello offerto da qualsiasi altro luogo. No, Tahar Ben Jelloun, che ho imparato ad apprezzare ormai da tempo, questa volta non entusiasma né convince appieno, capace com’è di ben altre prove.
Nel complesso, dunque, una lettura senza troppe pretese, di mero intrattenimento, buona magari a riempire, perché no, la notte di chi soffre d’insonnia.
“[…] La notte è così. Non abdica mai, piena di risorse e di tormenti. E io non sono in grado di trattare con lei. In fondo, nessuno ne è capace. Non è assumendo forti sonniferi che si vince la partita.”
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Commenti
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Peccato, è un autore che amo, quindi mi è dispiaciuto dargli un voto così basso. Ma bisogna pur essere onesti nel giudizio; e poi anche i più grandi scrittori non scrivono solo capolavori!
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