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Ritorno alla letteratura del viaggio
A partire dalla fine dell’Ottocento ad oggi la letteratura ha smesso di essere “letteratura del viaggio” per diventare invece “letteratura della fine del viaggio”. Con i mezzi di trasporto e, ancora di più, la rivoluzione digitale, la grande metafora del viaggio che ha alimentato le più grandi opere dell’umanità -poemi epici, la Divina Commedia, il Milione (per citarne solo pochi e rimanere in Europa...) ha perso col tempo il suo “valore di esperienza essenziale che aveva nelle società tradizionali” , come conoscenza, come crescita, a anche fuga ed evasione (rimando all’interessante fascicolo I rivista letteraria “L’asino d’oro”, maggio 1990, “Fine dei viaggi: spazio e tempo nella narrativa moderna”).
Peter Handke in questo nuovo libro, da lui definito “ultimo epos” come si legge nella seconda di copertina, riprende, sotto certi aspetti, il significato del viaggio, dello spostamento fisico, a piedi, alternato a brevi “strappi” di percorso su rotaie, in cui il cammino diventa scoperta o ri-scoperta, diventa un percorso interiore ed intimo.
Con uno stile inconfondibile, falsamente agile e diretto, poiché apparentemente scorrevole, ma che risulta poi denso di immagini, di simboli e di rimandi, costringe il lettore a concentrarsi sulle pagine, a rileggere molti passi sia perché superbamente poetici, visionari e paesaggistici, sia perché dalle righe irraggiano significati che richiedono ulteriori riflessioni.
Un ritorno alla letteratura come scoperta, ma con originalità.
L’ambientazione e la collocazione temporale sono contemporanee, ci sono riferimenti ad episodi della storia mondiale recente, strizzatine d’occhio alla cinematografia e alla musica moderne, ma le vicissitudini della “ladra di frutta” sono come marginali a tutto ciò. La narrazione è in prima persona: l’io narrante, un uomo in là con gli anni, decide di mettersi in viaggio, di lasciare la sua “baia di nessuno” e tornare ai luoghi del suo passato. Contemporaneamente anche una giovane donna, chiamata “la ladra di frutta”si mette in viaggio per ritrovare la madre, una bancaria in carriera che aveva deciso di abbandonare il suo lavoro. Due cammini che si sovrappongono generando coincidenze, esperienze uniche, epifanie, barlumi di vita autentica, veri e propri rapimenti dell’anima.
Già dalle prime pagine si respira un Handke meno cupo e funerario rispetto a ‘Infelicità senza desideri”, la sua penna crea magiche sinestesie che attivano i sensi del lettore: primi piani naturalistici, brevi però, si alternano ai pensieri e si inseriscono nel tessuto della storia. Indimenticabile l’immagine estiva con cui inizia il romanzo: tutto comincia con una puntura di ape, ai primi giorni di agosto
“Era - anche questo come sempre - un giorno di sole, almeno nella tarda mattinata, di inizio agosto, ma non ancora un giorno torrido, con un azzurro invariabile, alto e sempre più alto nel cielo. Neanche l’ombra di una nuvola -e se pure ce ne fosse stata una: ecco che si era già dissolta. Soffiava un vento leggero, tale da mettere le ali ai piedi, come spesso in estate veniva da ovest e ci si immaginava che dall’Atlantico si diramasse nella baia di nessuno. Non c’era rugiada da asciugare. Come accadeva già da una settimana buona, gironzolando la mattina presto per il giardino non si avvertiva nemmeno un sentore di umidità sulla pianta dei piedi, per non dire poi tra le dita”.
La puntura d’ape è il segnale: è ora di partire, è tempo di rimettersi in cammino e così l’io narrante decide di mettersi in viaggio e a raccontarci della “ladra di frutta”, anche lei in viaggio. Questa fantomatica creatura, ricostruzione di una fanciulla fuori dall’ordinario, che da bambina rubava frutta che trovava a portata della sua mano, da ogni ramo in cui capitava di imbattersi, è calata nel suo tempo (ama il rap, usa uno smartphone), ma allo stesso tempo è un’outsider, vive ai margini, è “invisibile”. Ed Handke gioca molto sulla visibilità/invisibilità di questa giovane, ora notata dalle persone, ora dimenticata, ora viva e reale ora personaggio immaginario. Ed anche il tempo, nonostante gli agganci ed i riferimenti con la contemporaneità sembra sospeso, anzi sembra completamente assente. Ci sono momenti in cui il tempo non conta...sembra di vivere in un sogno e Handke è il maestro dello straniamento.
“Già: per l’ennesima volta nella mia vita avevo visto proprio quelli che mi erano più vicini, e, mi si presentavano davanti in carne ed ossa, come dei fantasmi, totalmente diversi, particolarmente pallidi, estranei, anzi, proprio per il loro particolare vivo pallore, come persone particolarmente diverse. Anche coi miei figli mi è capitato (...)”
In questo libro il viaggio della “ladra di frutta” assurge a metafora dell’esistenza: il lutto, un’amica di infanzia ritrovata, l’amore, l’essere figlia. Un romanzo in cui il simbolico gesto di rubare un frutto e di non essere visti assume significati più profondi del piccolo furto in sé.
Nel romanzo tornano i paesaggi (e termini) cari all’autore: la Piccardia, la Gare Saint Lazare, Courdimanche, la “baia di nessuno” , e, seppur soltanto nominata , la Sierra de Gredos, cui l’autore dedica un’opera interessante “Le immagini perdute ovvero attraverso la Sierra de Gredos” (al momento fuori catalogo, in attesa di ripubblicazione Guanda).
Un libro che ha tanto da raccontare.
“La ladra di frutta” è un romanzo complesso, che merita, come le grandi opere del passato, una rilettura anche a distanza di tempo, un libro universale che, sono sicura, non smetterà di parlare alle future generazioni.
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Commenti
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Grazie a te
Da come l'hai presentato, un libro che mi attrae come una calamita. Subito in lista!
Sì Handke è legato molto più alla cinematografia, ma nell nostro “immaginario”, in Italia. Altrove si trovano studi, articoli su di lui, qui non ho trovato quasi nulla in italiano!
Il libro è costellato di passi meravigliosi e per me, indimenticabili. Questo libro mi è piaciuto molto, ha dentro speranza, resistenza, calore.
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