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Gloria e decadenza della provincia americana
“Pomodori verdi fritti” è un romanzo dalla struttura estremamente peculiare che attraverso varie testimonianze va a raccontare la vita quotidiana degli abitanti di Whistle Stop -e della vicina Troutville-, una cittadina provinciale nel sud degli Stati Uniti, in particolare nell’Alabama.
La narrazione risulta suddivisa in tre focus principali: la storia di Whistle Stop nel passato, dagli anni Dieci del Novecento in poi; il punto di vista di Evelyn Couch, nella metà degli anni Ottanta, che ascolta i racconti dell’anziana Virginia “Ninny” Threadgoode; gli articoli tratti da diversi quotidiani o bollettini locali, in particolare da “Il giornale della Signora Weems”, impiegata postale di Whistle Stop che tra una notizia e l’altra inserisce anche informazioni sulle attività imprenditoriali della cittadina,
«PS. Opal ha appena ricevuto una consegna di riccioli di capelli veri. Quindi, se avete bisogno di capelli supplementari in qualche punto della testa, passate pure da lei.»
o sulle più recenti disavventure del marito Wilbur.
«Per finire, la mia dolce metà dice che qualcuno ci ha invitati a cena, ma non ricorda chi. Così chi ci ha invitati sappia che accettiamo volentieri, ma si faccia vivo per darmi l’indirizzo.»
I capitoli sono quasi sempre molto brevi e presentano ogni volta un periodo o un luogo diverso. Questi continui cambi, uniti ad un cast di personaggi estremamente numeroso, creano un po’ di confusione durante la lettura e solo dopo un po’ si riescono a mettere a fuoco le varie parentele e relazioni. Il principale punto debole del romanzo è la scelta di raccontare fuoricampo la maggior parte degli eventi anziché descriverli direttamente; il problema non è evidente tanto nelle parti di Evelyn o negli articoli, quanto nella narrazione del passato di Whistle Stop,
«Le Roy [...] viaggiava molto e si fermava spesso lungo la strada. Quando Naughty Bird scoprì che a New Orleans alloggiava a casa di una meticcia quasi bianca, per poco non ne morì.»
Un altro paio di aspetti negativi (poi parlo di ciò che mi è piaciuto, giuro!): il tono della narrazione mi ha convinto perché frizzante e molto ironico ma non cambia mai, quindi non si notano differenze tra quando le vicende sono narrate direttamente dall’autrice e quando vengono interposti, ad esempio, dei giornalisti; c’è poi un problema con l’edizione italiana della Rizzoli, infatti la sinossi proposta in quarta di copertina anticipa un evento che accade dopo la metà del volume e ne parla -erroneamente- come fosse l’avvenimento principale della trama.
Ma passiamo finalmente ai lati positivi. Per quanto sia difficile sintetizzare la storia, questo romanzo ha certamente una fortissima carica emotiva, ma non si accontenta di far piangere i lettori bensì va ad affrontare una tematica di primaria importanza quale la discriminazione ed il tentativo di opporvisi. Discriminazione che colpisce le donne e i poveri costretti al vagabondaggio,
«Negli ultimi due mesi la Legione americana aveva fatto più di un’incursione negli accampamenti dei vagabondi, distruggendo qualunque cosa allo scopo di ripulire la città [...].»
ma soprattutto le persone di colore, come ci dice senza mezzi termini Idgie in questo estratto:
«-A volte mi domando che cosa le genti usi al posto del cervello. Pensa a quei ragazzi: hanno paura di sedersi a mangiare vicino a un negro, ma divorano le uova che escono dal culo delle galline.»
Tra i tanti personaggi, quelli femminili hanno certamente un impatto più rilevante sul lettore e in questo il romanzo mi ha ricordato molto il meraviglioso “The Help” di Kathryn Stockett. Tutte donne che non vogliono più vivere all’ombra degli uomini, e cercano quindi un modo per far valere anche la propria idea, come Evelyn che reagisce con rabbia quando vede come si possa venire maltrattate a dispetto di un comportamento irreprensibile:
«Aveva fatto tutto questo, eppure quell’estraneo l’aveva umiliata con le parole che gli uomini rivolgono alle donne quando sono furiosi.
[...] perché, quando gli uomini volevano umiliare gli altri uomini, li chiamavano donnicciole? Come se fosse la cosa peggiore del mondo. Che cosa abbiamo fatto per essere considerate in questo modo?»
E tra queste donne tutte diverse -chi desidera una famiglia, chi vuole avviare un’attività, chi ama accudire i bimbi- primeggia sicuramente Idgie Threadgoode; solare e testarda, un po’ sopra le righe, Idgie è molto spesso il centro attorno cui gravitano gli eventi del libro. Si dimostra sempre generosa, non ha riserve nell’esporre le sue idee,
«-Idgie fu la prima a chiamarlo Stump (aka, moncherino) e a Ruth per poco non venne un colpo, [...]. Ma Idgie disse che era la soluzione migliore, perché in questo modo nessuno gli avrebbe affibbiato il nomignolo a sua insaputa.»
e la sua relazione con Ruth è descritta in modo molto intenso e coinvolgente, anche se stento a credere che una coppia lesbica con tanto di figlio a carico venisse accettata da tutti con naturalezza in un paesino dell’Alabama negli anni Trenta. Una bella speranza.
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Commenti
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Non conosco il libro, ma ho visto il film tratto da esso : bello.