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Voci che chiedono di essere ascoltate
«Non so cosa dirle: so soltanto che non glie lo dico. E so che neanche lei dice quello che vuole dire, ed è strano perché nessuno dice niente eppure è come se ci parlassimo lo stesso»
Siamo negli anni ’60 quando Eugenia Phelan, detta Skeeter (zanzara), figlia di proprietari terrieri del Sud degli Usa torna a casa a Jackson, in Mississippi, dopo l’Università, un’università per la quale ha dovuto lottare essendo la madre fortemente contraria al fatto che ella studiasse e non pensasse, al contrario, al trovar marito. Sketeer sogna da di scrivere, sogna di poter fare della parola la chiave di un linguaggio superiore. Ciò non è però semplice negli Stati Uniti per una donna degli anni Sessanta seppur bianca. La molla che può fare la differenza scatta quando al suo ritorno nella casa natia, si rende conto che Constantine, la donna di colore che per anni le ha fatto da balia, da governante e da amica in varie circostanze (vedi quando si presentò il problema della sua altezza così spropositata rispetto a quella delle coetanee), è scomparsa per essere sostituita da un’altra figura sempre di colore. Ma cosa ne è stato di Constantine? Alcuno sembra saper dare una risposta a questa domanda, alcuno sembra voler dare una risposta a questo quesito. Al contempo, Aibileen, domestica di colore di un’altra famiglia ricca della zona, che ha cresciuto schiere di bambini bianchi, è costretta a vedersela con le continue privazioni (quali il non poter usare il bagno della casa principale per espletare le proprie minzioni in un gabbiolo situato nella parte esterna della stessa e più precisamente in un angolo angusto del giardino) destinate a coloro che come lei hanno la pelle di un colore diverso dal bianco. Minny, la sua migliore amica, è la cuoca migliore della zona ma ha un difetto caratteriale che le impedisce di mantenersi ogni posto di lavoro: è insolente. A complicare la situazione, un’accusa infamante da parte della sua ex datrice. L’occasione di riscatto si presenta quando una donna bianca la chiama a servizio con tutta una serie di premure e accortezze che la pongono sull’attenti. Di fatto quest’ultima non vuole che il marito apprenda della sua incapacità a cucinare e a prendersi cura della casa, pertanto, chiede a Minny di darle “ripetizioni” e di prestare, almeno inizialmente, il massimo riserbo in cambio di meno ore di lavoro e una paga doppia rispetto al passato.
Tuttavia, quell’idea nella mente di Skeeter ha preso forma ed è inarrestabile. Da qui ha inizio il progetto, un obiettivo che metterà le protagoniste in pericolo ma che porterà anche a sviscerare quelle molteplici angherie e vessazioni che venivano subite dalle cameriere di colore negli ambienti dell’alta società. Il loro coraggio porterà a rompere quei confini che per troppo tempo le hanno soffocate e porterà a rendere concreto e tangibile quel pregiudizio che le soffocava a favore dei più forti.
Quello di Kathryn Stockett è un libro profondo, intenso, ricco di spunti di riflessione e anche molto attuale, è un libro che va centellinato, letto un poco alla volta, assaporato e fatto proprio. Per contenuto, per messaggio, per lascito. Unica pecca che ho ravvisato è quella di una certa lentezza nell’esposizione, circostanza che, visto già il contenuto denso, può tendere ad appesantire la lettura o a suggerire di abbandonarla.
«Ma con il pollice di Constantine premuto sulla mano, mi resi conto che in realtà avevo la possibilità di decidere io in cosa credere.»
«Ma non era solo il fumare o fregare la mamma: era avere qualcuno che ti guarda dopo che tua madre si è appena preoccupata da morire perché sei spaventosamente alta, con i capelli crespi e strana. Avere qualcuno che ti dice solo con gli occhi: “A me tu vai benissimo così”.»
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