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L'EPOPEA DI UN UMANISTA AUTENTICO
“La storia degli uomini non è la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male. La storia dell’uomo è la lotta del grande male che cerca di macinare il piccolo seme dell’umanità. Ma se anche in momenti come questi l’uomo serba qualcosa di umano, il male è destinato a soccombere.”
“Vita e destino” è senza dubbio alcuno la “Guerra e pace” del XX secolo. Come il capolavoro di Tolstoj parlava dell’invasione napoleonica in Russia, mescolando la Storia con le vicende individuali, le grandi tragedie pubbliche e i piccoli drammi privati, i personaggi famosi con quelli inventati dalla fantasia dell’autore, così il romanzo di Grossman si propone come una grandiosa saga, la quale, dipanandosi intorno alla famosa battaglia di Stalingrado, vero e proprio snodo cruciale dell’intera Seconda Guerra Mondiale, mette in scena una miriade di personaggi, non solo sovietici ma anche tedeschi, attraverso le cui travagliate vicissitudini viene schizzato uno dei più efficaci ritratti dei due regimi in lotta, il nazismo e il comunismo, che mai siano stati realizzati da uno scrittore. La prima e maggiore differenza con “Guerra e pace” salta subito all’occhio: mentre Tolstoj non esitava ad affermare la superiorità del popolo russo e dei suoi condottieri, Grossman appare molto più realista. Pur ammettendo la necessità storica di sconfiggere Hitler e il suo piano malvagio di sottomettere il mondo intero al dominio teutonico, non nasconde che le ideologie nazista e stalinista non differiscono poi troppo tra loro, avendo entrambe tra i loro segreti propositi quello di asservire la libertà degli individui a un superiore obiettivo, quello dello Stato totalitario. L’ipostasi più evidente di questa situazione è quella dei campi di concentramento, l’invenzione più diabolica del secolo scorso, dove milioni di persone (e qui lager e gulag hanno veramente pochi punti di discontinuità) sono morte e hanno lavorato in condizioni di schiavitù.
I personaggi del romanzo appartengono alle più varie tipologie: dai militanti più fanatici ai cittadini ideologicamente meno ossequiosi, scorrono nelle sue 800 pagine tantissimi esemplari umani, tutti omologati dal conformismo del terrore, in un periodo in cui bastava una semplice battuta o una parola fuori posto per perdere il posto di lavoro o, peggio, per finire deportati in Siberia. Si respira ovunque un clima asfissiante e kafkiano, che l’emergenza bellica attenua solamente in parte, visto che anche al fronte imperversano i commissari di partito, i quali vigilano con ottusa solerzia affinché non venga mai meno nemmeno nelle trincee l’ortodossia ideologica del regime. Eppure, anche in questo clima opprimente, in cui Stalin e Hitler sono al di sopra di ogni critica, in cui le carriere, le assegnazioni degli alloggi e perfino gli approvvigionamenti dipendono dalla capacità di ingraziarsi gli alti papaveri del partito più che da meriti e bisogni reali, e in cui non si può parlare liberamente perché tutti sospettano di tutti, anche in questo clima –dicevo – serpeggia un anelito di libertà, magari sotto forma di subdoli dubbi che nascono anche all’interno delle personalità più fanatiche, facendone traballare la fede cieca (come nel caso del bolscevico tutto d’un pezzo Mostovskoj, che rimane turbato nel constatare come il suo acerrimo nemico Liss, direttore del lager in cui è rinchiuso, si ritiene sotto molti aspetti simile a lui).
Il fatto è che Grossman è un umanista autentico, e la guerra o la politica gli interessano solo in quanto costituiscono un tramite per parlare della vita (non è un caso che la parola sia finita nel titolo). La sua prosa semplice, precisa, sincera, didascalica nel senso migliore del termine, mette infatti i suoi personaggi al centro di drammatici conflitti di coscienza, tanto nell’eccezionalità di una battaglia quanto nella normalità della vita quotidiana. Ad esempio, lo scienziato Strum, la cui ramificata famiglia è al centro di “Vita e destino”, vive sulla sua pelle l’ostracismo della comunità in cui lavora, in quanto, nonostante le sue geniali scoperte nel campo della fisica nucleare, è considerato dal partito ideologicamente ambiguo (probabilmente anche perché ebreo), ma, pur caduto in disgrazia, è confortato dal sollievo di non aver voluto umiliarsi in una autoconfessione pubblica; quando però, con un vero e proprio coup de théâtre (la telefonata di Stalin), viene reintegrato nei suoi diritti e nei suoi privilegi, finalmente ammirato da tutti come un esempio di rettitudine morale, non riesce a resistere alle subdole lusinghe del partito e accetta di firmare una ripugnante lettera in cui si schiera apertamente contro alcuni onesti colleghi incarcerati con risibili accuse, con ciò condannandosi a una vita di recriminazioni e di rimorsi. Di fronte ad analoghi dilemmi si trovano anche Mostovskoj (come visto più sopra), Krymov (che da delatore per il bene della rivoluzione si trova ad essere a sua volta accusato e imprigionato), Novikov (che decide a rischio della sua carriera di ritardare di pochi minuti l’ordine di attacco giuntogli dagli alti comandi pur di salvaguardare la vita dei suoi soldati), e così via, fino al più insignificante kapò di un campo di concentramento. Tutti hanno la possibilità, per quanto infinitesimale, di cambiare il proprio destino (ecco la seconda parola del titolo) con una scelta autonoma che modifichi il corso degli eventi. Ed è proprio in questa facoltà, che è al contempo diritto e dovere di ogni essere umano, che si manifesta la sua profonda natura. Grossman è affascinato dalla eterna lotta tra l’umanità che è dentro ogni uomo e le forze, a volte potenti e soverchianti, che cercano in tutti i modi di annientarla. Il risultato non è mai scontato (e la pietà dello scrittore per chi non ce la fa lo dimostra), spesso perfino le personalità migliori sono costrette, per debolezza o viltà, a soccombere, ma – è questo il messaggio più consolante, il testamento spirituale che ci ha lasciato Grossman – l’umanità non può mai essere sconfitta definitivamente (grazie magari all’inatteso gesto di una vecchia russa che aiuta un prigioniero di guerra tedesco in difficoltà, o alla scelta del comandante Grecov di far tornare nelle retrovie, e così risparmiar loro la vita, una coppia di soldati innamorati la notte prima della capitolazione del suo avamposto, o alla commovente decisione di Zenja di rinunciare al proprio amore pur di aiutare il suo primo marito rinchiuso in prigione), e l’anelito alla libertà è troppo forte per costringere gli uomini a piegarsi a lungo sotto il giogo innaturale di dittature e regimi autoritari. All’indomani di un olocausto risorgerà sempre l’Uomo Nuovo, l’uomo che, anche senza essere mosso da ideali religiosi (Dio è quasi del tutto assente dalle pagine del laico Grossman), saprà tirare fuori dal profondo di se stesso quegli insopprimibili valori di fratellanza, di compassione e di giustizia che da millenni hanno accompagnato l’umanità lungo il suo lungo e travagliato cammino.
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