Dettagli Recensione
ELOGIO DELL'ANARCHIA
José Saramago è stato uno degli ultimi autentici umanisti della nostra epoca. Con i suoi apologhi sempre al limite dell’assurdo e del paradossale in ogni suo libro ha inteso affermare, appassionatamente e senza ambiguità, la priorità dell’individuo rispetto al sistema, dell’uomo sulla società, oltre che i valori sempiterni dell’amicizia, della fratellanza, dell’amore. Nelle sue opere ha sempre serpeggiato, a ben pensarci, un velato anarchismo, che in “Saggio sulla lucidità” esce finalmente allo scoperto, laddove lo scrittore portoghese immagina che in un paese immaginario ma non troppo, la maggior parte degli elettori della capitale, senza alcuna ragione apparente, si reca ai seggi per votare scheda bianca. Un simile atto di pacifica protesta riesce, meglio di qualsiasi manifestazione rivoluzionaria, a far cadere definitivamente la maschera liberale di cui si era ammantato fino a quel momento il regime, il quale, per eliminare quell’esiziale ostacolo per il sistema democratico che rischia di essere come il tradizionale granello di sabbia (anzi come un macigno, viste le proporzioni del fenomeno) all’interno di un sofisticato ingranaggio elettronico, è costretto a reagire scompostamente, dapprima decretando lo stato di emergenza e abbandonando la città a se stessa – senza governo, senza polizia, senza servizi pubblici – per punirla del riprovevole atteggiamento dei suoi abitanti, poi provocando un sanguinoso attentato terroristico al fine di seminare il panico tra la popolazione, e infine creando ad arte un capro espiatorio da additare pubblicamente come organizzatore della sovversione (è la stessa donna che alcuni anni prima, nella vicenda narrata in “Cecità”, era stata l’unica a non perdere la vista). Il clima torbido di uno stato poliziesco che controlla i mezzi di comunicazione per propinare false verità alla gente, che usa in maniera spregiudicata la retorica patriottica per creare un consenso artificioso, che è disposto a spingersi fino ad usare minacce, intimidazioni e violenze per piegare al proprio volere qualsiasi manifestazione di dissenso, è raccontato da Saramago, all’epoca splendido ultraottantenne che nonostante l’età non si è mai voluto rassegnare a ritirarsi in un olimpico e atemporale distacco dalle urgenti problematiche della contemporaneità, è raccontato – dicevo – con la chiarezza e l’esemplarità di chi vuol far capire al lettore che quello che scorre nelle pagine del romanzo non è solo finzione narrativa, ma è presente, come un tumore latente, in molte delle nostre democrazie occidentali (per rimanere alla storia italiana e tralasciando più recenti e spinosi esempi, basti pensare al periodo delle stragi di Stato, dei servizi segreti deviati, della P2).
“Saggio sulla lucidità” è una storia che vira ineluttabilmente verso la tragedia (i due personaggi principali, il commissario e la moglie del medico, muoiono, come in un romanzo di Sciascia, colpiti dalla mano occulta del potere), eppure è una storia ricca di speranza. Se per Cioran, per citare un suo famoso aforisma, “la speranza è la forma normale del delirio”, per Saramago (che al contrario del filosofo rumeno ha un’immensa fiducia nell’uomo) essa è, in una pervicace dimostrazione di ottimismo, il motore stesso della vita, la ragion d’essere dei suoi libri. E’ così che gli abitanti della capitale, abbandonati al loro destino, assediati dal resto della nazione, reagiscono con esemplare compostezza: nessun delitto, nessun atto di teppismo, nessun disordine, nessuna protesta concitata, nonostante gli sforzi profusi dal governo per far degenerare la situazione (anzi, quando questo costringe i netturbini a scioperare, al fine di rendere igienicamente invivibile la città, i lavoratori scendono per le strade senza divisa e senza salario per prendersene cura; e quando la minoranza filo-governativa che vuole nottetempo abbandonare la città viene rispedita indietro dai soldati che presidiano le frontiere, il resto dei cittadini, anziché punire i “traditori” come ci si aspettava, li aiuta caritatevolmente a riportare le cose nelle loro abitazioni). Non è dato sapere come vada a finire la pacifica sovversione dei “biancosi” (nelle ultime pagine si accenna soltanto di sfuggita alla gente che scende in piazza per protestare silenziosamente contro l’uccisione del commissario, che il subdolo ministero dell’interno ha fatto uccidere per trasformarlo in un martire della lotta contro i “terroristi delle schede bianche”), ma il messaggio di Saramago è chiaro: fino a che ci sarà almeno un uomo che, trovandosi a tu per tu con l’esigente e severo tribunale della propria anima, sceglierà di comportarsi secondo quanto gli suggerisce la propria dignità, la propria coscienza, il rispetto per se stesso e per il prossimo, i suoi sentimenti più puri e disinteressati, anziché per assecondare vigliaccamente un potere che se lo lusinga e lo adula è solo per perseguire meglio i propri subdoli scopi (Orwell docet), fino a che ci sarà un uomo simile, disposto – come il sindaco o il commissario – a mettere in secondo piano i propri egoistici interessi, la propria carriera, persino la propria tranquillità e sicurezza, pur di non offendere la verità e la giustizia, ebbene allora ci sarà, a dispetto di tutte le evidenze contrarie, ancora speranza per l’umanità, e la lucidità (magari – perché no? - sotto forma di una scheda bianca) potrà propagarsi come un’onda inarrestabile.
Indicazioni utili
Commenti
11 risultati - visualizzati 1 - 10 | 1 2 |
Ordina
|
11 risultati - visualizzati 1 - 10 | 1 2 |