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La Recherche di Bernhard
Per me ci sono due libri sulla ricerca del tempo passato. "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust, La Recherche per abbreviazione, ed "Estinzione" di Bernhard. Sono due libri che si assomigliano molto eppure sono completamente opposti. In entrambi viene descritto il desiderio di scrivere un libro, che appunto ne è il risultato, in Proust per ricordare il tempo vissuto e trasformarlo in eternità, conservandolo, in Bernhard invece per ricordarlo ed estinguerlo, in quanto "vuoto assoluto". Consolazione con una possibile eternità da una parte, feroce rassegnazione al vuoto dall'altra. Visioni opposte per via di opposte esperienze di vita. Hanno però in comune l'essenziale: essere artisti e le loro opere sono opere mondo che si completano.
Thomas Bernhard, nato da una ragazza madre, mai riconosciuto dal padre, cresciuto con poco affetto materno in un clima nazionalsocialista nel periodo della seconda guerra mondiale per poi passare a uno cattolico molto simile al precedente, vissuto quindi in un clima e in una società, persino in una famiglia che lo ha respinto, è contraddistinto nelle sue opere dall'odio nei confronti di chi gli ha reso l'esistenza un inferno. Non è un odio malvagio del quale sono capaci gli stupidi, ma di un odio cinico, schietto, sincerò, che non si ferma dinanzi a nulla. Nella sua opera troviamo sofferenza, solitudine, amarezza, odio, rassegnazione, il tutto ben calibrato da una grande dose di ironia e autoironia che rende la sua lettura godibile e a tratti comica. Non è un autore che soffre del "mal di vivere", come tanti nel novecento, lui ama la vita e ama godersela, soffre piuttosto di mal di ipocrisia delle persone e della società che esse formano. Proprio per questo la sua lettura non demoralizza e ne alleggerisce la cupezza.
In "Estinzione", il personaggio principale e voce narrante Murau, alter ego di Bernhard, stabilito a Roma da diverso tempo, riceve un telegramma che lo informa della morte dei suoi genitori e del fratello maggiore, imminente il bisogno di ritornare a Wolfsegg, la sua casa natia. Questa notizia da avvio a uno scorrere continuo di ricordi e vengono ripercorsi i travagliati rapporti di Murau con i genitori, con il fratello, con le sue due sorelle ma anche con tutte le altre persone che Maurau ha conosciuto. Diventa un viaggio introspettivo e di memoria che lo porterà alle conclusioni che ho anticipato all'inizio. Non è soltanto un viaggio individuale, che riguarda solo Murau, ma si trasforma in uno collettivo in cui chiunque sì può ritrovare. Da grande scrittore, Bernhard parte da un esempio, il suo, per poi delineare una regola di vita generale:
"Cerchiamo dappertutto l'infanzia e dappertutto non troviamo altro che il famoso vuoto assoluto, pensai, quando entriamo in una casa in cui nell'infanzia abbiamo trascorso ore o addirittura giorni tanto felici, crediamo di guardare dentro quell'infanzia e invece guardiamo solo dentro quel famigerato vuoto assoluto, pensai.(...) Svendiamo la nostra infanzia come se fosse inesauribile, ma non lo è, pensai, si esaurisce molto presto e non ci lascia altro che quel famoso vuoto assoluto. Ma non accade solo a me, pensai, succede a tutti e mi fu di momentaneo conforto il pensiero che giungere a quella cognizione non viene risparmiato a nessuno, in quel momento concedevo quella cognizione a tutti. Visitare l'infanzia quando siamo diventati più vecchi o vecchi, non significa altro che guardare dentro il famigerato vuoto assoluto, del quale abbiamo un orrore senza uguali."
Approfitto di questo frammento per parlare velocemente della prosa, a mio avviso molto bella. A scuola ci hanno sempre insegnato che ripetere non va bene, bisogna sempre usare parole differenti. Nel campo letterario, paradossalmente, un buon scrittore sa come usare questo "difetto" per amplificare le sue parole, sa trasformare l'odiosa ripetizione un megafono per il suo messaggio. Solo i più bravi ne sono capaci e Bernhard in questo eccelle! Personalmente l'ho trovato portare a estremo questa tecnica in "Correzione", dove il testo diventa un delirio progressivo ripetitivo. Richiede impegno Bernhard, è stancante, faticoso da leggere, lui stesso lo sa e lo fa di proposito, lui è questo e chi lo vuole conoscere è libero di seguilo oppure di cambiare strada. Si autodefinisce un maestro nell'arte dell'esagerazione perché l'arte richiede esagerazione, l'esagerazione è il suo appagamento. Il linguaggio invece è forbito al punto giusto, senza diventare troppo pretenzioso ma nemmeno semplice, traspare una grande intelligenza e un ammirevole lavoro di pensiero, privo di retorica e vittimismi, puntando il dito contro se stesso nella stessa misura in cui lo punta contro gli altri.
In "Estinzione" Murau distrugge tutto e tutti, a partire dai suoi genitori, i suoi familiari sino allo stato austriaco e all'Europa per estensione. Viene distrutta persino la letteratura tedesca degli ultimi tempi, considerata "letteratura da ufficio" una "poesia piccolo borghese da funzionari" i cui maestri sono stati Thomas Mann e Musil e l'unico scrittore tedesco che effettivamente ha scritto pagine di letteratura pura è stato proprio l'Impiegato Kafka, tutti gli altri hanno solo "trasformato i giornali in una mensa per i poveri della cultura, dove continuano a far bollire e ribollire fino alla nausea errori che gridano vendetta". In questa feroce e anche spassosa critica verso gli scrittori che vengono chiamati "compilatori di verbali" perché oggi "chiunque scriva cartoline si definisce uno scrittore", lui, il narratore, si definisce "solo un mediatore di letteratura, per la precisione di quella tedesca" che desidera scrivere un "schizzo dell'esistenza" che chiamerà "Estinzione" e che si augura che sia "qualcosa che si presenti bene" perché "ci comportiamo come se fossimo capaci di tutto, anche di cose eccelse e somme, e poi non siamo neanche in grado di prendere la penna in mano per mettere per iscritto anche una sola parola di quella nostra annunciata immensità e irripetibilità" . Sono pagine di intensa ironia e di bellezza in cui si sviscera anche il rapporto scrittore-opera, il primo spesso repellente e di pessimo carattere al contrario della sua opera di genio che spesso viene annientata se si cerca di spostare l'attenzione dall''opera al suo autore , amare l'opera, si, ma non il suo autore, mai confondere e mischiare le due cose.
Viene smantellata anche la Chiesa cattolica come istituzione e suoi sacerdoti che li chiama "principi della Chiesa" che recitano da tempi una commedia in cui hanno i ruoli principali, viene smascherata la somiglianza dell'austero regime cattolico con quello nazista che Bernhard ha provato sulla propria pelle nel collegio e che gli ha cambiato per sempre la vita, considerando l'influenza dell'educazione cattolica distruttiva sulle persone e ancor di più sui bambini. Grande osservatore, Bernhard ci descrive in modo frizzante varie scene della vita, incluso il funerale dei genitori. Ci sono dei frammenti spassosissimi che descrivono il matrimonio come scenetta comica e ridicola in cui "il sì decide solo il giorno del matrimonio" e non le promesse fatte, matrimonio tenuto da un prete piuttosto ubbriaco che dimentica anche i nomi degli sposi.
Però, le origini fanno parte di noi, belle o brutte che siano e ogni tanto, inevitabilmente, l'amore e l'attaccamento per la terra e per la casa natia, la fierezza per le bellezze paesaggistiche austriache spuntano fuori come i raggi di sole filtrati dalle nubi dense di un cielo coperto e sono bellissime da vedere. Ecco, nella sua opera il sole dell'amore si intravede solo attraverso questi effimeri raggi.
"Estinzione" è un tornado, che inizia a scatenarsi dalla prima pagina, e che con stile, ironia e pensiero profondo continua in modo sempre più infuriato passando su tutto e tutti fino a scaricarsi completamente ed estinguersi nelle ultime pagine. Va letto. Assolutamente.
Se avete ancora voglia di un altro piccolo assaggio, sotto uno dei frammenti finali all'apice della sua furia, prima di placarsi nella risoluzione finale:
"Oggi l'Austria è un paese governato da affaristi senza scrupoli di partiti senza coscienza, ho detto a Gambetti, pensai ora davanti alla fossa aperta. Questo popolo austriaco defraudato di tutto, ho detto a Gambetti, cui negli ultimi secoli, nella maniera più infame, cattolicesimo, nazionalsocialismo e pseudosocialismo hanno estirpato dalla testa l'intelletto, Gambetti, ho detto a Gambetti, pensai ora. Meschinità è la parola d'ordine, bassezza il motore, menzogna la chiave di quest'Austria di oggi, Gambetti, ho detto a Gambetti, pensai ora davanti alla fossa aperta. Senza sosta torno a dirmi che amiamo questo paese, ma odiamo questo Stato, Gambetti. A Roma, e ovunque nel mondo, Gambetti, pensai ora, ho detto a Gambetti, quest'Austria non ci riguarda più. Ovunque andiamo in quest'Austria di oggi, entriamo nella menzogna, ovunque guardiamo in quest'Austria di oggi, guardiamo solo dentro la menzogna, con chiunque Lei parli in quest'Austria di oggi, Lei parla con un bugiardo, Gambetti, pensai ora davanti alla fossa aperta."
Bernhard, coerente con le sue idee, nel suo testamento ha vietato severamente qualsiasi pubblicazione delle sue opere e qualsiasi rappresentazione teatrale delle sue opere nei confini dello stato Austriaco, estromettendolo completamente dal suo lavoro letterario. Purtroppo, o per fortuna, dopo circa dieci anni ciò fu possibile per la concessione da parte di suo fratellastro.
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Sotto metto il link di una lettera che Bernhard ha scritto al suo editore, tutto ciò che scrive è meritevole...
https://ilmanifesto.it/mi-ha-preso-per-uno-scribacchino/
Thomas Bernhard a Sigfried Unseld
Ohlsdorf, 11 luglio 1968
Caro dottor Unseld,
(…) Per quanto riguarda la questione dell’onorario credevo che, dandomi da fare per tre anni con il mio romanzo Perturbamento avrei estinto buona parte del prestito. Il fatto che una casa editrice solida e buona come la Sua non abbia potuto vendere più di milleottocento esemplari è talmente assurdo che nessuno mi crederebbe se lo raccontassi in giro. Se fossi andato a spasso da solo con lo zaino in quattro settimane avrei venduto sicuramente di più. La delusione è somma e altrettanto incomprensibile la situazione, se si considera che il libro ha avuto le critiche migliori e, tutto sommato, la migliore risonanza possibile, e così via. Non voglio parlare oltre, ma dico senz’altro che ho ridotto in polvere una grande opportunità, e come minimo tre anni di lavoro. Tutto questo a prescindere dalla splendida edizione che è stampata in modo eccellente, eccetera eccetera. Non le è venuto da pensare che, rispetto a Perturbamento, la casa editrice sia un po’ colpevole? Non lo so. Dovrebbe pensare lei a estinguere il prestito, piuttosto. E dovrebbe anche pensare che di qualcosa bisogna pur vivere. In fondo il prestito risale a quattro anni fa, chi mai riuscirebbe a sostentarsi per quattro anni?
A parte tutto, mi serve qualcosa per vivere; se non ho nulla, devo andare a lavorare, come chiunque altro. Non ho niente in contrario, anzi, tagliare la legna, e cose simili, mi piace di gran lunga più che scrivere. Ma a questo punto non potrò più pensare al romanzo a cui sto lavorando, e così via. Come pensa che si possa fare con la pancia? La si deve riempire, è semplice. Per quanto riguarda Ungenach, vorrei raccontare una storia, anche se non sono un narratore: c’era una volta un autore che scrisse Amras e che, ci crediate o no, ricevette 3000 marchi per averlo pubblicato da Suhrkamp. Lo stesso autore, due anni dopo, scrisse un volume di racconti cui diede l’infelice (a detta dell’editore) titolo Prosa e, di punto in bianco, ricevette solo 2000 marchi. Poi – essendo uno che scrive sempre, uno che scrive semplice, e così via – scrisse un libro dal titolo Ungenach e pretese (come un calzolaio per un paio di scarpe) di ricevere di nuovo 3000 marchi, come per Amras. E tanti gliene furono promessi, di comune accordo, dalla casa editrice. Tutto a posto, dunque. E adesso, immaginatevi, il medesimo autore riceve dal suo editore, sia chi sia, un contratto (con tanto di diffida!) di soli 2000 marchi che per giunta vengono presentati come un atto di generosità straordinario e assoluto(…)
In questo momento potrei essere furente, ma non lo sono perché la natura intorno alla mia bella casa è la più bella, la più attraente. Potrei essere anche qualcos’altro, ma non sono niente. Solo, mi dico, il di lui editore (ossia l’editore dell’autore), quattro anni dopo il primo atto di generosità e dopo queste prove di incuria, dovrebbe ora, magari, farsi venire un’idea generosa. Sarebbe bello. Per adesso non credo alla generosità dell’editore. Ma perché parlare così tanto. È tutto chiarissimo, fa niente, se mi guadagno da vivere nel più semplice dei modi almeno sarò libero dai milioni di spasmi ripugnanti che vanno insieme alla scrittura. La Sua lettera (del 9 di luglio) è cattiva.
Non so che cosa ne pensi. Se volesse riavere il prestito tutto in una volta, pensando di aggredirmi in questo modo, sappia che non mi ucciderà, racimolerò i soldi e li avrà. Credo però che sarebbe una soluzione folle e deplorevole.
Cordiali saluti
Thomas Bernhard
P.S. Per che razza di misero scribacchino mi prende?
P.S. 1) In questo momento me ne infischio di come lei si comporterà, trovo tutto molto ridicolo.
P.S. 2) E se lei per caso pensasse ai vari premi letterari, le dirò che il mio ricovero all’ospedale mi è costato, da solo, 60.000 marchi.
P.S. 3) Non voglio sentimentalismi. (Traduzione di Massimiliano De Villa)
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