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La scuola degli orrori
Ci sono libri che riescono a rimanere impressi nella nostra mente e nel nostro cuore, scavano nell’anima e sedimentano. Tra questi si può annoverare il nuovo romanzo di Colson Whitehead, noto al pubblico per “La ferrovia sotterranea” con il quale ha vinto il Premio Pulitzer.
Whitehead, prendendo spunto da una storia vera fatta di violenza e razzismo, ci racconta una tragedia americana ambientata nella Florida degli anni sessanta, all’epoca in cui la figura del reverendo Martin Luther King era un imprescindibile punto di riferimento per la lotta della popolazione di colore contro la segregazione razziale per l’ottenimento di quei diritti civili così spesso negati.
Al centro della vicenda la Nickel Academy, scuola–riformatorio nella quale, senza troppe preoccupazioni, vengono spediti dalle autorità locali ragazzi minorenni -bianchi o neri indistintamente anche se il colore della pelle è spesso un aggravante- considerati disagiati, oppure perchè orfani o vittime di famiglie violente o perché accusati di piccoli reati. L’obiettivo della scuola sarebbe quello di educare e recuperare gli adolescenti in difficoltà ma dietro le sue mura vengono compiute, da parte dei sovrintendenti reggenti che godono di parecchie immunità, le più terribili rappresaglie: punizioni corporali ingiustificate, episodi di segregazione prolungata, sfruttamento del lavoro minorile. Partendo da questa cornice Whitehead racconta queste atrocità attraverso la salda amicizia tra due ragazzi di colore Elwood e Turner, finiti alla Nickel il primo a seguito di una falsa accusa per furto d’auto ed il secondo a causa di un episodio di teppismo nei confronti di un bianco. I due giovani sono perfettamente complementari, si completano a vicenda: Elwood è acculturato, fervido sostenitore dei movimenti di protesta dei neri, ma allo stesso tempo piuttosto ingenuo ed incline a mettersi nei guai. Turner è invece fortemente disilluso, cinico, dotata di scarsa cultura ma abile nel comprendere come un nero deve comportarsi in quell’ambiente “razzista di brutto”, in cui “la metà della gente che lavorava li probabilmente si metteva il cappuccio del Klan nel fine settimana”.
Un ambiente in cui il male penetra fin nelle fondamenta e rimane indelebile nella mente delle sue vittime per tutta la vita (“Ecco cosa ti faceva la scuola. Non si fermava quando uscivi. Ti storceva in tutti i modi finché non eri più capace di rigare dritto, e quando te ne andavi eri ormai completamente deformato”).
Un romanzo che colpisce e che a tratti, nello stile narrativo, ricorda una triste e drammatica cronaca di eventi rimasti oscuri per troppo tempo, grazie anche alla complicità del governo della Florida, lo Stato dove era localizzata la "scuola degli orrori" realmente esistita. Whitehead ha avuto il merito di capire che non era più possibile tacere davanti a tutto questo, soprattutto davanti alle improvvise scomparse di molti di quei ragazzi, che venivano troppo spesso eliminati e sepolti in cimiteri improvvisati all’interno della scuola.
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