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Dio è un bambino
Avanzano. Due coaguli di cenere e ossa, due scheletri consunti, scalcinati, esangui. Avanzano. Più magri a ogni passo. È la fame, è il freddo, è la paura. I giorni senza sole, ectoplasma evanescente dietro una cortina di fumo sempiterno. Grigio, gelido, polverizzato. Le notti cieche sotto la pioggia nera, terra sfarinata in vento e vento che si è fatto acqua, tuono, tempesta. Crepata la vita lungo i solchi bruciati del suolo, vuoto d’uccelli il cielo, muto di canti. Smaltati, indifferenti gli dei. Una distesa senza confini, un oceano nero battuto da ronde e cannibali, donne schiavizzate a uso e consumo, ragazzini di scorta per la frustrazione, uomini legati, tagliati, cauterizzati per sopravvivere alla fame. Vecchi orbi, fulminati, bambini che non conoscono i colori, persi, dispersi, abbandonati. Un padre e un figlio, sotto un telo di plastica, a leccare l’ultima stilla di una lattina. Non tagliarti attento. Un carrello, due coperte, una pistola. Per uccidere gli altri, per far finire se stessi. Il padre e il figlio, una bestemmia e una preghiera. Il silenzio che non conosce sorriso. Basta il dolore a far ammalare un uomo, basta la fame a farlo diventare una bestia, cinica, senza scampo. Brina anche l’inferno, scortica i piedi, due scarpe distrutte. Avanzano, verso sud, verso il mare. Verso la vita, in piedi per grazia e misericordia. Una lingua di fuoco sopra i profeti. Un bambino che suona il flauto alla fine del mondo. In lui la speranza, verbo di Dio. In lui la luce di questo mondo in estinzione. Nato postumo, prima e dopo della grandine caustica che ha bruciato i campi, le case, gli uomini, la pietà. Una coperta stesa sopra un cadavere. Il bambino conosce il sacro. Il bambino è il sacro.
Cormac McCarthy costruisce un romanzo lacerante, scuoia e ricuce, lembi di pelle e squarci di scene pronte a spegnersi come un cerino. Li segue, li bracca, li accompagna, la camera stretta, ossessiva, esasperante. Due esseri infinitesimi nell’universo enorme e famelico, una ginestra nel cuore di lava, un abbraccio nella tempesta di nero. E lo fa con una lingua di inaudita forza, fatta di un lessico stretto, che rimbalza nel labirinto claustrofobico delle azioni e si fa grido solitario, gemito inarticolato, canto sospeso sul vuoto. Non è la speranza di un futuro a tenerli in vita, ma una fede tutta immanente, uno spillo inespanso negli occhi del bambino. Il coraggio più grande è alzarsi ogni mattina, portare un bambino in un posto impossibile, proteggerlo, salvarlo, farlo crescere in fretta. Resistere, anche se sputi sangue. Resistere, anche se la pelle è una sagoma d’ossa. Resistere, anche se si è diventati cinici, egoisti. Eppure solo il bambino sa, lui che ha visto l’orrore ma è ancora intatto dal male, che tra uccidere e morire c’è una scelta più dura. Vivere.
Libro meraviglioso. Non c’è da dire altro.
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Bellissima. Non c’è da dire altro :)
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