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L'altra parte
 
L'altra parte 2019-08-04 19:22:36 DanySanny
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
DanySanny Opinione inserita da DanySanny    04 Agosto, 2019
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Inter faeces et urinam

Volume numero 1 di quella bella collana che è “Biblioteca Adelphi”, “L’altra parte” di Kubin è a tutti gli effetti un libro unico, sia perché il solo scritto dal disegnatore, più noto per le oniriche visioni che popolano le sue opere, sia perché la storia segue una trama del tutto peculiare, un viaggio fantastico che, come in una parabola biblica, si apre con la Creazione e si esaurisce in un’Apocalisse di immani dimensioni. Il movimento del libro di Kubin è quello vorticoso di un gorgo che trascina sempre più a fondo e che, nel farlo, sprofonda nella più cupa e proteiforme visionarietà, tra incubi, apparizioni ed eventi incredibili che dilatano il campo del non detto, lo spazio inabissato e primordiale dell’inconscio. E in effetti “L’altra parte” appare proprio come un’esplorazione di quell’Es insondabile descritto da Freud nel medesimo periodo, come una catabasi inesorabile nelle più viscerali delle proprie paure.

Un disegnatore, alter ego dell’autore, riceve l'invito da un misterioso intermediario a vivere in un misterioso Regno, il Regno del Sogno, nel cuore dell’Asia, su cui governa un suo amico d’infanzia, Patera, divenuto, per alterne vicende, spaventosamente ricco. La capitale del Regno, Perla ci si dispiega dopo che i personaggi son caduti in un sonno profondo, a voler rimarcare, fin da subito, la dimensione onirica del testo. Una città opaca e smaltata, rocambolesca, agglomerato di case in declino e blocchi di vita consumata, tra parti della Bastiglia e della Torre di Londra, una città apatica e labile, che in ogni istante pare sul punto di disgregarsi. Gli abitanti, tutti caratterizzati da una certa mania, da una peculiare inclinazione, vivono come marionette nella mani di un misterioso incantatore la cui magia penetra nei lori corpi, diffonde nelle loro menti, metastatizza nel loro inconscio. In uno stato di veglia apparente, i personaggi latitano nel grigio opaco e indistinto di un cielo senza colori, di una natura spenta, di un tempo collassato, protetti da un muro altissimo che li isola dal mondo esterno. In questo contesto sarà l’arrivo di un ricco americano a mettere in moto le latenti forze di disgregazione che animano Perla e a far precipitare la città in un’Apocalisse tormentato e irrevocabile su cui misteriosa vigila la popolazione degli uomini dagli occhi azzurri che vive appena fuori la città.

“L’altra parte” è l’inconscio, certo, e il sogno, seguendo Freud, è un mezzo di indagine indescrivibilmente potente per penetrarne i segreti. Ma l’altra parte è anche, credo, l’aldilà, la morte, il negativo della vita. Anzi, a voler trarre un sunto del libro, l’altra parte vive in ogni cosa, è il polo negativo della materia, la carica di un elettrone, il doppio antitetico che, in tensione col polo positivo, genera la vita. “Il demiurgo è un ibrido”, scrive alla fine Kubin, così come ibrida, positiva e negativa, è la realtà: in questo libro nato come terapia personale per sopravvivere alle crisi paranoidi dello scrittore, alla morte del padre e al silenzio creativo, si apre allora una personale cosmogonia, che affonda le radici nel filosofo Empedocle: è Polemos, lo scontro, il padre di tutte le cose. Kubin scrive un testo visionario e originario, con uno stile altalenante, coinvolgente all’inizio, piatto nella parte centrale, fin troppo lunga, e mefistofelico nella parte finale, in quel grande ritratto della fine che è “L’altra parte”. L’allucinazione delle visioni finali non esige una precisa decrittazione e ricorda la violenza descrittiva di un autore latino, forse meno conosciuto di altri, ma dalla scrittura estremamente icastica, Lucano. Certo questo libro è un libro scritto per se stessi, dalla ricca iconografia, che la tradizione esegetica ha voluto antesignano profetico del primo e dl secondo conflitto mondiale. Io credo invece che Kubin abbai esorcizzato un demone personale e nella mastodontica disgregazione di Perla, abbia trovato il coraggio di guardare nell'abisso della fine che necessariamente si accompagna alla vita. Forse la penna, fin troppo disorganica, è andata oltre la solidità dello stile e le stesse ambizioni dell’opera, ma sicuramente un testo non privo di fascino.

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Commenti

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siti
07 Agosto, 2019
Ultimo aggiornamento:
07 Agosto, 2019
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Paura di vivere! Allo stato puro. Quanto sarà stata terapeutica questa scittura visionaria e che ruolo ha dato al diavolo? Un modo per fuggire la realtà?
In risposta ad un precedente commento
DanySanny
07 Agosto, 2019
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Creo che per l'autore sia stata molto liberatoria, anche il fatto che sia stato il suo unico. Sembra un libro scritto più per se stessi che per il pubblico, un modo per esorcizzare i propri demoni,. Per altro in rete ho trovato che è quasi un libro di culto per certi amanti della letteratura fantastica.
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