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Essere, arte e religione
«Ho imparato ancora più in fretta cose più difficili di queste. […] Per sopravvivere si impara a imparare in fretta.»
Essere il figlio di Aryeh Lev, uno degli emissari del Rebbe che spesso è via di casa e la cui assenza deve essere compensata dagli insegnanti, e di Rivkeh Lev, una delle pochissime donne ladover a cui il Rebbe ha permesso di frequentare l’università nonché una donna che ha superato una grave malattia seppur a volte sembri ancora mantenersi per un pelo in equilibrio fra la luce e le tenebre, non è cosa semplice per il piccolo Asher, un bambino ebreo di Brooklyn che ha la pittura nel sangue. Qualsiasi cosa egli tocchi, diventa arte, diventa un disegno, un quadro, un’opera inestimabile. Perfino una sigaretta spenta, se nelle sue mani, può diventare uno strumento con cui donare quel chiaro scuro all’immagine, qualunque essa sia, dal ritratto di sua madre allo sguardo severo di suo padre che lo scruta di sottecchi con evidente disappunto. Perché in una cultura come quella ebraica, che per definizione è ostile alla rappresentazione figurativa e che associa la pittura alla tradizione cristiana, quella vocazione non può che creare conflitti e rotture, in particolare se da affrontare c’è il tema della crocifissione. Come mantenere la propria coerenza artistica con le esigenze della tradizione religiosa?
Un percorso, quello che ci descrive Chaim Potok attraverso la voce del suo adolescente protagonista, che rivive e riassapora passo dopo passo l’intenso travaglio interiore di chi necessita di esprimere il suo io, in questo caso con la pittura, e un credo religioso, una fede che si pone in naturale antitesi e contraddizione con tali aspirazioni perché ritiene essere l’arte figurativa come contraria ai precedetti di Dio. La crescita del giovane protagonista, sino alla sua affermazione nel mondo dell’arte, crea intensi contrasti con la famiglia e in particolare proprio con il padre che di quella religione è figura di spicco. La figura del patriarca viene analizzata con dovizia e cura insieme a quella delle altre colonne portanti dell’opera: la madre che rappresenta la comprensione nella fragilità umana, il Rebbe che domina le loro esistenze con i sacri dogmi, lo scultore ebreo non osservante ma di fama mondiale, Jacob Kahn, che, su decisione del Rebbe stesso, istruisce l’apprendista ai segreti dell’arte. Tutte, indistintamente sono tormentate e lacerate da questa appartenenza alla tradizione e questa necessità di espressione.
Al tutto si somma una penna precisa, meticolosa, accurata che non tralascia alcun dettaglio e che pone la sua attenzione su tutto il percorso di crescita di Asher senza mai tralasciare circostanze, voci, opinioni che coralmente vi si affiancano. La lettura è di notevole valore, soprattutto in quegli aspetti relativi alla tradizione e all’ortodossia ebraica a cui si intersecano i vari retaggi e le varie conseguenze sulla vita di comunità, ma non è anche una conoscenza semplice richiedendo, per essere espletata, una particolare attenzione e concentrazione ed essendo, per naturale effetto, scandita da un ritmo lento e lineare, ove cioè vengono a mancare continui, ripetuti e/o immediati colpi di scena. Ogni tassello viene ricostruito e ricomposto passo dopo passo, senza fretta, senza accelerare i tempi bensì seguendo le linee di un filo conduttore già predeterminato e chiarificato.
Ad ogni modo lo scritto consente al lettore di riflettere su molteplici tematiche, lo invita a meditare, a ponderare sulla realtà che lo circonda, sulle religioni, sul suo essere tanto che, anche a distanza di tempo dalla conclusione dell’opera, ella è ancora viva e pulsante nell’anima del conoscitore.
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Commenti
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Lo scrittore era anche pittore e certamente buon conoscitore dell'arte. Questo aspetto si nota ancor più nel seguito della vicenda, rappresentata nel libro "Il dono di Asher Lev" .
Bella recensione. Sono contenta che ti sia piaciuto
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