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Un lungo addio
Dire troppo, in letteratura e nell'arte in generale, rappresenta un grosso limite. E' di gran lunga preferibile il troppo poco, che può invece aprire porte all'immaginazione, al fascino della sfumatura, alla ricchezza delle interpretazioni.
Qui, sia chiaro, l'autore si attesta a un discreto livello letterario; ma quando si legge P. Roth le aspettative sono spesso altissime.
Penso che lo scrittore, nel voler 'dire tutto' , corra il rischio di un relativo appiattimento.
Vengono raccontate le vicissitudini che la grave malattia dell'anziano padre comporta e, nel contempo, le ripercussioni che esse proiettano sul figlio famoso scrittore.
Tutto è rappresentato con una certa (per me, troppa) meticolosità. Ciò, unito alla visione piuttosto convenzionale 'da Americano medio' in cui lo stesso Io-narrante pare imbrigliato, depotenzia a tratti le potenziali emblematicità che avrebbero potuto aprire ad orizzonti di più ampio respiro, a quelle profondità esistenziali di cui talvolta la letteratura riesce a farsi interprete.
Un romanzo autobiografico, dunque, che riguarda un breve ma intenso periodo nella vita del narratore.
Quasi a rimarcare tale aspetto, il sottotitolo "Una storia vera", benché si sappia che in letteratura 'tutto è vero e tutto è falso' .
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P. Roth
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