Dettagli Recensione
Da leggere ma senza troppe aspettative
«Compiere il proprio dovere… che espressione dura e teatrale! Si vive… finché un bel giorno ci si accorge se si è compiuto il proprio dovere oppure no. Comincio a credere che le grandi decisioni fatali, quelle che determinano il profilo caratteristico del nostro destino, siano molto meno consapevoli di quanto supponiamo nei momenti in cui torniamo al passato per evocarne la memoria»
Il proprio dovere. Ma cosa significa davvero adempiere al “proprio dovere”? Su che base è possibile evincere quale sia questo e quale legge morale possa indurci a definirlo, a delinearlo, a compierlo? Eszter, donna sola di circa quarantacinque anni che vive in completa estraneazione con Nunu, sarà costretta a scoprirlo a proprie spese quando Lajos, l’unico uomo che ha mai veramente amato, farà ritorno presso la sua dimora, vent’anni dopo il loro ultimo incontro, per privarla di quell’ultima eredità, di quell’ultimo lascito che ancora le appartiene. E lei, lei non farà alcunché per impedirlo. Al contrario. Seppur sia consapevole del mentire del cinquantatreenne e dei suoi figli orfani, figli oltretutto nati a seguito del matrimonio di costui con sua sorella Vilma, accetterà ogni recriminazione, ogni parola, ogni gesto che verrà proposto dall’oratore per lasciarsi andare a quel che già in passato doveva essere.
Opera immediatamente successiva a “Le braci”, “L’eredità di Eszter” è un lungo racconto costruito seguendo le linee del componimento che lo ha preceduto e al cui interno sono racchiuse tutte le tematiche care all’autore. Se da un lato abbiamo il personaggio tradito e isolato, questa volta al femminile, dall’altro abbiamo il traditore che, in coerenza con il suo essere mentitore per eccellenza, torna a far visita alla donna con prole al seguito perché ha bisogno. Attraverso le loro voci si dipanano sentimenti quali l’amore, l’amicizia, il tradimento, la famiglia, la menzogna, il sentimento ferito, la perdita dello status sociale, l’avidità, stati d’animo che culmineranno nel colloquio finale tra “traditore” e “tradito” che consegue a quello tra “tradito” e “figlia del traditore” e degna erede del padre. Premetto che per me questa è una rilettura, un testo che ho deciso di riprendere in mano per vedere se, a distanza di anni, la percezione potesse essere mutata magari anche a seguito di qualche lustro in più trascorso e qualche libro in più letto.
Purtroppo, le impressioni sono rimaste le medesime e non sono riuscite a mutare in positivo. Per quanto la prosa sia sempre ricca e ricercata, troppi sono i tratti in comune con il lavoro più famoso e un po’ debole è il crescendo delle vicende. Non solo. Non potendosi definire lo scritto quale un romanzo poiché un lungo racconto vista la lunghezza di appena 137 pagine, inevitabile è essere attanagliati da quella sensazione di inconclusione, di insoddisfazione, di mancanza. Lo scorrimento degli avvenimenti, facilmente intuibili nella loro evoluzione, non invoglia alla lettura e anzi tende ad annoiare – quasi a seccare – il conoscitore che vorrebbe scuotere Eszter, invitarla a reagire anziché a lasciare scorrere gli eventi come una cascata inarrestabile destinata a confluire nella rovina quasi come se quel castigo fosse auspicato, atteso. Il lettore fatica inoltre anche ad interpretare quel finale racchiuso nelle poche righe delle ultime due pagine che non soddisfa, non appaga.
In conclusione “L’eredità di Eszter” è un testo che racchiude al suo interno tutti gli elementi propri di Marai ma che non spicca né per originalità né per solidità. Certamente non è un volume adatto a chi già conosce dello scrittore e che quindi ha già avuto modo di apprezzarne le sfumature ma al contempo, è poco adatto anche a chi deve avvicinarvisi poiché, incapace di trasmetterne le effettive capacità narrative. Da leggere ma senza troppe aspettative.
«Per quanto tempo non mi sono resa conto di quale fosse il mio dovere? Ubbidivo, sì, ma controvoglia, strillando e protestando disperatamente. A quei tempi intuii per la prima volta che la morte poteva anche essere una liberazione. Mi resi conto che la morte è assoluzione e pace. Soltanto la vita è lotta e disonore. Com’è stata strana quella lotta! Ho fatto di tutto per mettermi in salvo. Ma il nemico continuava a seguirmi. Ormai so che non poteva agire diversamente: siamo legati ai nostri nemici, che a loro volta non sono in grado di sfuggirci.»
Indicazioni utili
- sì
- no
No = a chi già ha letto le opere più famose.
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