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Istanbul, città femmina
Sarà poi vero che, quando il nostro cuore cessa di battere, l’attività cerebrale persista per svariati minuti? E, nel caso, quanti e quali pensieri in quel momento sopravvivono?
La mente di Leila, dopo la morte, ha continuato a essere attiva esattamente per dieci minuti e trentotto secondi, un lasso di tempo insignificante ma sufficiente per rievocare, partendo da sapori e profumi che riaffiorano come per incanto, tutta una vita iniziata non nel migliore dei modi e finita tragicamente. Prende così avvio la vicenda narrata nel nuovo romanzo di Elif Shafak, scrittrice turca tra i nomi più noti dell’odierno panorama letterario, non solo vicinorientale ma mondiale.
Leila, la protagonista, soprannominata “Tequila” per la sua resistenza a mandar giù le amarezze della vita un sorso dopo l’altro, era una prostituta della vecchia via dei bordelli di Istanbul, città di cicatrici più che di occasioni, dove era arrivata ancora molto giovane, sola e senza un soldo, facile preda di chi se n’era subito approfittato vendendola a uomini di tutte le età; il passo che l’aveva poi portata a esercitare in una casa di tolleranza autorizzata era stato brevissimo. Nata e cresciuta in una cittadina di provincia lontana anni luce dalla capitale, Leila fuggiva da un ambiente familiare pieno di veleni e menzogne. L’amore l’aveva dapprima sfiorata, poi trovata, infine tristemente abbandonata, mentre l’amicizia, quella più autentica e coltivata nel corso degli anni, avrebbe continuato a riempire e sostenere la sua esistenza messa a dura prova. E proprio i suoi amici, cinque in tutto, ognuno a suo modo appartenente a un mondo di reietti della società, trovano ampio spazio tra le pagine del romanzo con le rispettive storie che s’intrecciano a quella di Leila.
Trama originale e anche appassionante, quella costruita dall’autrice che ci racconta non soltanto una dolorosa vicenda umana, seppur di fantasia, ma pure parte della storia contemporanea di un Paese, la Turchia, da sempre in bilico tra Europa e Asia. Sullo sfondo, bella e dannata con le proprie aspirazioni occidentalizzate, compare in particolare Istanbul, “città femmina” secondo la definizione della stessa Shafak, dove convivono modernità e tradizione e nella quale si ritrovano i sogni e le disillusioni di tanti che vi si sono trasferiti per cercare fortuna. Il Cimitero degli Abbandonati di Kylos, esistente per davvero, diviene drammatico simbolo di come la vita possa concludersi nel peggiore dei modi per molte di queste persone che sono tagliate fuori dal perbenismo ipocrita della società, Leila e i suoi amici compresi.
A parte la traduzione in lingua italiana che reitera scorrettamente la parola musulmano con la doppia esse (persino in arabo, si scrive con una esse sola!) e diverse imprecisioni formali anch’esse ripetute più volte, il romanzo offre una prima parte, incentrata sulla storia personale di Leila dalla nascita fino alla morte violenta, che cattura il lettore con uno stile affascinante e coinvolgente; nella seconda e terza parte, a mio parere, l’intensità della narrazione viene invece decisamente a scemare, seppure vi siano svelati vari retroscena utili a ricostruire il quadro completo della storia, forse per via degli eventi finali troppo concitati o dei tanti dialoghi non esaltanti tra gli amici. Nel complesso, una buona lettura che, tuttavia, non mantiene pienamente le promesse iniziali.
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