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Tutto scorre...
In puro stile da presa diretta, come se fossimo al cospetto di una sceneggiatura già tradotta in movimento, Saramago entra dentro un'azione scenica, imposta un narratore e gli fa traslare il fatto in sé, i protagonisti e i luoghi, imponendosi fin da subito come il detentore della verità. La voce narrante è infatti onnisciente, non tanto perché anticipa fatti o riprende gli antefatti, quanto perché è la detentrice di quella verità cui tende l'intera narrazione: è il filosofo contemplato da Platone, colui che ama la verità e non insegue l'opinione.
In questo romanzo il mito della caverna è alla base dell'intera narrazione e si mostra funzionale all'epilogo della vicenda narrata che altro non è se non un banale e sano quotidiano minacciato dall'aleatorio, dal superfluo, dal ridicolo.
Cipriano Algor è vasaio, ha sessantaquattro anni, una figlia, un genero che lavora in città, nel Centro, vero cuore pulsante dell'attività economica del circondario, e una vicina che potrebbe alleviare la mancanza della sua cara moglie defunta. Si ritrova presto anche padrone di un cane. E sappiamo fin da subito, e ancor prima di lui, che presto diventerà nonno. A fasi alterne, godendo di alcune piccole anticipazioni, ignari ancora gli stessi personaggi, saremo resi edotti anche di altri piccoli fatterelli, che pur carichi di un'implicita drammaticità, vengono affrontati dagli stessi con atavico eroismo misto a pura rassegnazione.
Il fatto che innesca la narrazione, e rompe ogni dimensione temporale e ogni certezza, una sorta di velo di Maya, è la risoluzione unilaterale del rapporto lavorativo di Cipriano con il Centro che non ha più bisogno dei suoi vasi, della sua terracotta, della sapienza creatrice delle mani, della caducità di un oggetto, semplicemente perché la domanda non incontra più l'offerta e il suo prodotto ha cessato di essere concorrenziale. La sua estromissione è graduale, lenta e patetica, metafora della caducità a marcare l'idea che tra un essere umano e un coccio non intercorre differenza alcuna.
“Punto più, virgola meno”, la narrazione scorre compatta in pagine fitte per assenza assoluta di capoversi e per dialoghi espropriati del loro codice interpuntivo, diventa massiva e claustrofobica, scandita da rari eventi che amplificano le conseguenze fino a giungere ad un epilogo che consola e restituisce speranza. Una riflessione più che mai attuale sullo stato del nostro progresso e sulle implicazioni etiche che comporta il rinnegare il passato semplicemente pensandolo come antitetico al nostro presente.
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