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TRA STORIA E FANTASCIENZA
“Così va la vita”: è questa la frase che viene ripetuta, come un mantra pronunciato da chi vede le cose con soprannaturale imperturbabilità e distacco, quasi sub specie aeternitatis, ogni volta che, in “Mattatoio n. 5”, ci si trova davanti all’esperienza della morte. E siccome il romanzo è in gran parte ambientato in Germania durante gli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale, e il suo protagonista ha modo di assistere al devastante bombardamento di Dresda (che riduce la città, letteralmente, a una superficie lunare), si può facilmente intuire il gran numero di volte in cui questa frase viene pronunciata. “Mattatoio n. 5” è un romanzo antimilitarista, ma nell’esteso universo di libri contro la guerra, occupa un posto del tutto sui generis, in primo luogo perché rifugge intenzionalmente da ogni effetto emotivo, di immedesimazione empatica con le vittime del conflitto (con ciò modellando il suo stile sulla bizzarra figura del suo protagonista, Billy Pilgrim, un uomo abulico, con ridottissime esigenze ed attrattive, scarsamente attaccato alla vita in un’epoca in cui la vita vale davvero poco, e che ciononostante, con keatoniana impassibilità, riesce a sopravvivere miracolosamente non solo alla guerra ma, anni più tardi, addirittura ad un incidente aereo), e in secondo luogo – cosa davvero enorme se ci si pensa – perché è anche un romanzo di fantascienza. Solo quando si finisce di leggere “Mattatoio n. 5” si può tentare di intuire l’intendimento di Vonnegut: per raccontare la sconvolgente esperienza autobiografica della Guerra in Europa senza cadere nella retorica pacifista o nell’antitetica esaltazione eroica dell’esercito americano era necessario un atteggiamento simile a quello di Hasek e del suo soldato Scveik, qualcosa che arrivasse al cuore del lettore attraverso la deformazione comico-grottesca e antieroica dei suoi personaggi. Vonnegut fa tutto questo (il romanzo è pervaso da un umorismo paradossale, Billy Pilgrim e i suoi commilitoni sono delle caricature di soldati), ma in più aggiunge una dimensione di ulteriore distanziazione dal naturale climax del filone bellico, ossia i viaggi temporali del protagonista, il quale si sposta involontariamente avanti e indietro lungo l’intero arco della sua esistenza, rivive più volte la sua nascita e la sua morte, e ad un certo punto viene rapito dagli extraterrestri che lo iniziano a una suggestiva filosofia, secondo cui tutti gli attimi della vita coesistono ineluttabilmente per l’eternità, e passato, presente e futuro sempre sono stati e sempre continueranno a essere (tutto il contrario del “carpe diem” oraziano, qui ogni istante è permanente, e quindi non vale la pena prendersela per le cose brutte perché ci sono tantissimi altri momenti in cui le cose sono decisamente migliori). Questo atteggiamento influenza necessariamente il concetto di libero arbitrio, che secondo gli abitanti di Tralfamadore non esiste, in quanto tutto è mosso da una sorta di rigido determinismo, anche in campo morale. Chi compie una determinata cosa non poteva comportarsi diversamente, persino i piloti che hanno sganciato le bombe su Dresda o i generali che hanno ordinato l’attacco.
Alla luce di quanto sopra, è chiaro che la chiave di lettura del romanzo non è la lettera di ciò che si legge, ma il suo rovesciamento ironico, che chi si appresta a decodificare le tragicomiche avventure di Billy Pilgrim (novello Chance il Giardiniere, per chi ricorda il film “Oltre il giardino” con Peter Sellers) è chiamato a compiere per arrivare al nocciolo del messaggio dell’autore, il quale non è mai così chiaro come in quelle pagine in cui Billy di notte, aspettando di essere rapito dall’astronave tralfamadoriana, vede alla televisione un film di guerra all’incontrario, partendo da scene di distruzione di massa per giungere miracolosamente a una sorta di edenico idillio di pace ed armonia. Questo a mio avviso (oltre al fatto che, di fronte a un massacro, la cosa migliore che la lingua e la penna possono fare – incapaci come sono di riprodurne le più profonde e sconvolgenti ripercussioni sugli uomini e sulle loro coscienze – è tacere) è quanto Vonnegut ci ha voluto trasmettere, anche se rimane, in sottofondo, un retrogusto amaro, dovuto alla inevitabile e ineliminabile sensazione che nessuno potrà mai impedire alle guerre di continuare a scoppiare, devastare e uccidere, che far cessare la guerra è un po’ come far scomparire il mare, vale a dire impossibile.
Indicazioni utili
"L'arcobaleno della gravità" di Thomas Pynchon
Commenti
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Di questo libro si è parlato assai, e sicuramente ha dei risvolti interessanti, ma al momento non lo sento nelle mie corde.