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Il tormento del cut-off
In medicina il cut-off è il limite oltre il quale un’azione clinica ha senso, perché quel valore sancisce, o prova almeno a sancire, il confine tra quello che è fisiologico e quello che invece è patologico. Il cut-off è una decisione perché la realtà richiede di scegliere e ogni scelta, affermando una possibilità, ne cancella infinite altre. Perché si possono fare tutte le considerazioni, tutti i distinguo, tutte le premesse, ma alla fine un farmaco sì dà o non si dà e non sempre si può avere la sicurezza che sia la scelta giusta, perché i cut-off sono questione di probabilità. Un cut-off è anche la maggiore età, 18 anni, come se da un giorno all’altro una persona cambiasse perché ha spento una candeline in più. Non cambia nulla, ma la legge sceglie, lo Stato sceglie, perché prima o poi tutti devono diventare legalmente grandi. Un cut-off è anche il verdetto che un giudice proclama in tribunale, condanna o assoluzione, carcere o libertà. Perché nonostante tutte le precauzioni, non si può scegliere il bianco e il nero e purtroppo neanche il grigio, ma solo o il bianco o il nero.
Fiona, giudice dell’Alta Corte, preda di una crisi coniugale, si trova a dover scegliere se costringere un diciassettenne testimone di Geova a fare la trasfusione che lo salverà dalla leucemia o se ascoltare la sua volontà e lasciarlo morire. Chi ha ragione? Lo Stato che persegue il benessere del minore, o l’individuo, che ha l’inderogabile diritto di rifiutare una cura? Chi decide, forse le ragioni che determinano una scelta, la fede in un Dio, un principio culturale? Chi può scegliere quello che è giusto o quello che è sbagliato? Eppure Fiona deve scegliere un cut-off, Adam, il ragazzo, deve scegliere un cut-off, i medici che lo curano devono scegliere un cut-off e tutti sanno che non bastano le azioni a rendere buona una scelta, perché dopo che la realtà è accaduta, l’istante precipita.
McEwan affronta un problema vertiginoso. Lo stesso problema di Antigone, che sceglie di seppellire il fratello seguendo la legge degli dèi nonostante Creonte, colui che comanda, ha imposto una legge severa. Lo stesso problema che tormenta Hegel quando alla ricerca di una realtà equilibrata, quadrata, senza contraddizioni, risolve l’antitesi tra morale (del soggetto) ed etica (del pubblico) nello Stato, come sintesi delle spinte centrifughe che dilaniano la realtà. Il grosso problema, il peccato originale del libro, è che McEwan trascura il nucleo incandescente del romanzo e lo diluisce e sfianca con una scrittura quasi fiacca, che galleggia su una superficie distantissima dal cuore del dilemma. Fiona lo affronta, ma non si sente il personaggio palpitare, non si avverte una reale partecipazione alla storia, come se la scrittura indugiasse sul resoconto e descrivesse i personaggi da un altro mondo, appena lambito dal turbinio della realtà. A questo sensazione di freddezza, contribuisce la scrittura, piana, a volte pleonasticamente descrittiva, una trama inutilmente artefatta che svilisce quanto di buono invece l’idea centrale era riuscita a costruire. Una scrittura precisissima, di chi conosce il mestiere, compiaciuta, ma senza mordente.
Sarà forse una mia personale insofferenza oramai per tutte quelle scritture inutilmente lunghe, ma credo davvero McEwan non conduca il libro da nessuna parte, troppo lontano dalle radici inconciliabili del reale. Perché alla fine scegliere è creare un mondo, un mondo che senza quella scelta non esisterebbe: l’uomo è creatore e come ogni creatore deve portare il peso delle responsabilità e delle conseguenze che ne derivano. Pur con tutte le cautele, un cut-off, e con esso ogni decisione presa, non rende conto di tutta la nostra incertezza. Semplicemente, è. Peccato McEwan non ne parli, peccato sia perso tra le musiche di Schubert e i finanziamenti del governo Blair, peccato, perché il problema è davvero capitale.
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Commenti
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Buone letture.
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Forse ti stupirà nel sentire che a me invece è piaciuto abbastanza, pur essendo l'autore assolutamente non fra i miei scrittori preferiti.
Trovo che, a distanza, mi ha lasciato qualcosa, a differenza di "Espiazione" di cui sono rimasto piuttosto indifferente.
In letteratura non si parla mai solo di contenuto, ovviamente. E' proprio la scrittura , che in "Espiazione" pare formalmente migliore, ad essere qui più 'viva' , vibrante.