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Il passero che cammina
Il mio primo impatto con Mo Yan è stato traumatizzante. Di lui colpisce lo stile del grande scrittore al servizio di un contenuto sgradevole e difficilmente comprensibile. Il testo allucinato e onirico fa sì che non si possa raccontare una trama anche perché la oggettività dei fatti viene continuamente messa in discussione, ragion per cui lo stesso episodio viene riferito più volte in modo ossessivo e volutamente contraddittorio, ma questo è il meno. Infatti anche l’identità dei personaggi è mutevole. E’ come se ci fosse un deus ex machina, un io narrante superumano che diventa di volta in volta ogni personaggio oppure, a sua scelta, resta al di fuori della storia come narratore. Il libro ha un incipit bellissimo che ho dovuto rileggere 5 volte prima di rassegnarmi a capire di non averci capito nulla, in cui il narratore, una specie di mostro in gabbia mangiatore di gessetti, racconta a un pubblico di studenti, la storia di un professore di fisica morto durante una lezione sulla bomba atomica. Ma poi il professore ha un sosia, forse, in alcune versioni della storia suo gemello, e comunque suo vicino di casa, anche lui con una moglie e due figli in perfetta e non casuale simmetria. Il professore morto viene rimpiazzato dal sosia benché non sia veramente morto, oppure è morto e risorto, oppure il professore è oltre che se stesso anche il sosia e forse pure il narratore e magari in alcune versioni anche sua moglie e in altre versioni ancora anche qualcuno dei suoi amanti. La realtà è dunque onirica e magmatica, ma molto magmatica. L’incipit con il mostro in gabbia mi è piaciuto moltissimo, ma poi la lettura si fa ardua sia per l’inesistenza di una trama stabile, sia per la sgradevolezza estrema del contenuto. La moglie del primo professore di fisica scuoia conigli, la moglie del secondo professore di fisica lavora in un obitorio come truccatrice di cadaveri. Più che truccatrice è una chirurga plastica di cadaveri, con tanto di descrizioni di estrazioni di grasso adiposo e di visceri di cadavere che vi raccomando. Dunque, scuoia esseri umani.
Anche se Mo Yan è stato accusato di essere allineato al regime comunista cinese, il romanzo contiene una evidente critica sia a Marx che alla società cinese con gli insegnanti, quindi gli intellettuali, che muoiono di fame (mangiano gessetti) e i burocrati del partito che accumulano adipe e si servono a man bassa delle donne proletarie salvo poi mascherare questa condizione di evidente disparità sociale e prepotenza con operazioni di chirurgia plastica post mortem. C’è una falsità sociale diffusa. La giustizia e l’uguaglianza comunista si realizzano, sì, ma solo dopo la morte dato che i conigli scuoiati, così come i morti, contadini o dirigenti che siano, sono tutti uguali. L’obitorio è l’altare dove si realizza l’uguaglianza vera al di là di ogni finzione propagandistica. Io credo che se Mo Yan non ha avuto problemi con la censura è perché nessuno dei suoi papabili censori ha mai letto un suo libro o leggendolo ci ha capito qualcosa.
In ogni caso, il mondo di Mo Yan è terribile. C’è solo materia, materia in decomposizione, materia che sopravvive alla sua morte ma questa sopravvivenza ha qualcosa di mostruoso. E’ come se la materia potesse eternizzarsi, divinizzarsi, perdendo però ogni umanità. Il personaggio nella gabbia dello zoo che compare nell’incipit e che, con il senno di poi, dovrebbe essere uno dei due professori di fisica, è una figura mostruosa, con quegli occhi che mandano bagliori verdi, gli stessi occhi del professore di fisica resuscitato. Il verde ha un significato in genere di rinascita, ma qui è anche e soprattutto legato alla marcescenza cadaverica, per cui è una rinascita ma in una condizione solo materica. I personaggi del romanzo non hanno umanità solo istinti. L’amore è citato nel romanzo come idea, nel senso che, come nei romanzi di Marquez, che solo in questo gli assomiglia, i personaggi hanno istinti e mai affetti. Gli affetti muovono gli istinti o sono istinto mascherato. L’unico affetto autentico è quello della scimmia per il figlio. L’uomo ha un cervello (anche se non superiore a quello della scimmia) che usa solo per fare i suoi interessi perseguendo istinti o necessità materiali. In un certo senso c’è pure una idea di cannibalismo senza sacrificio, che porta a una maggiore materialità e bestialità dell’uomo, all’opposto di quello della religione cristiana. Questa carne che mangiano tutti, che a volte è di animali, carne cruda, carne che ho sospettato venisse anche dall’obitorio, rende l’uomo una bestia più delle bestie dello zoo. Allo stesso tempo ogni personaggio è lo stesso personaggio. Forse per questo alla disuguaglianza sociale si contrappone una gemellanza morale che rende ogni personaggio simile a tutti gli altri nell’essere una bestia in gabbia, la stessa bestia. Il romanzo esprime un materialismo asfissiante. Io credo che ci sia un’esigenza di amore o di spirito in tutto questo. L’amore è citato alcune volte dai personaggi sempre per dire che però l’amore è un’altra cosa, rispetto alle relazioni che vivono. L’amore è come un vago ricordo, ma molto più remoto e inafferrabile e lontano di un vago ricordo. E’ qualcosa come i baffi verdi della moglie del professore di fisica (quello vivo), qualcosa che pare di un altro mondo. Gli uomini sono come la tigre e il leone e generano figli più feroci di loro. Non per niente la tigre e il leone sono una coppia con due figli, simmetrica anch’essa a quella formata da ogni professore di fisica e consorte. E il guardiano dello zoo che ha quegli occhi con pericolosi bagliori verdi e commercia carne umana che scambia con altra carne di animali, sembra una immagine speculare e opposta del Dio cristiano. Per poi sovrapporsi all’immagine del professore di fisica e del narratore dentro la gabbia, mangiatore di gessetti, che non si capisce bene se crei la storia o ne sia attore o tutte e due le cose insieme, un po’ come nella religione cristiana la figura di Cristo ma capovolta e speculare. Il professore è tornato vivo in una resurrezione della materia divinizzata senza però anima, perciò ingabbiata in una eterna schiavitù che alla fine ingloba anche il lettore. Le descrizioni, quelle non di cadaveri, per esempio il temporale che c’è a pagina 300, sono bellissime e il finale è meraviglioso. Il libro data l’inesistenza della storia e la forza delle immagini è quasi fatto per immagini. Ciò non toglie che la lettura sia pesantissima.
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Anche io mi sono chiesta spesso come potesse essere membro del Partito e allo stesso tempo potesse pubblicare i suoi scritti senza censura. La critica al sistema e' dura e palese in ogni romanzo.
Per quanto riguarda le pagine violente, spesso io le salto.
E' di un realismo insopportabile. Eppure adoro questo autore ! Il dolore e la fame, la poverta' ed i soprusi. Poi un guizzo. Di amore o di bellezza. Nella oscurita' che dilaga mortale, prima o poi intona un cantico. E il libro rinasce . E io , lettore, rinasco.
( Ad eccezione - confesso - de " Il paese dell'alcol" che ho dovuto vendere una volta terminato, non ci dormivo la notte).
Interessante la tua recensione, comprero' sicuramente il libro ( la copertina poi e' uno schianto) quando lo pubblicheranno in economica !
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