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Lucas & Claus: vite spezzate.
«È una società fondata sul denaro. Non c’è spazio per le domande che riguardano la vita. Ho vissuto per trent’anni in una solitudine mortale»
Tre romanzi nel romanzo o se preferite, tre grandi capitoli tra loro esattamente suddivisi che lo compongono, reggono le fila de la “Trilogia della città di k” di Agota Kristof.
Apriamo il volume e iniziamo a scorrere le prime pagine di quello che è intitolato “Il grande quaderno”. La reazione è unica: sconvolgimento, dubbio, perplessità. La durezza, la crudezza e la violenza che vi sono insite lasciano nel lettore un profondo e ineguagliabile senso di desolazione. Com’è possibile, si chiede questo, che ciò accada? Perché i due giovani protagonisti vivono questa vita priva di affetti, bontà e altruismo? Non vi sono risposte se non quella che tutto è necessario e lecito pur di sopravvivere e andare avanti. Anche un rasoio in tasca. Perché quando perdi i tuoi genitori e vivi in un contesto di guerra, non sei altro che spettatore e la morte perde quei suoi connotati di naturalità e eccezionalità per diventare abitudine. A completare il quadro, capitoli brevi e caratterizzati da una penna altrettanto dura, asciutta, pungente e che nulla risparmia a chi legge.
A questo diario redatto dai fratelli, ragazzi in età scolare che si attengono a fatti vissuti quali normali perché soltanto quelli conoscono, segue il secondo episodio intitolato “La prova” e dove, questa volta, conosciamo della vita separata dei gemelli. Sono ormai uomini adulti, questi, e sono chiamati a vivere distaccatamente anche se costantemente obbligati a convivere con un passato che li ha marchiati, che li ha resi incapaci di ogni affetto e di ogni forma di legame durevole. In questo capitolo le carte vengono magistralmente mescolate dall’autrice, il lettore si trova di fronte ad un linguaggio meno duro e asettico, ma, tuttavia, è confuso perché tanti sono gli enigmi che si susseguono e che ancora non trovano risposta.
Infine, “La terza menzogna” ha il compito di chiarire le idee, di mostrare quel che davvero è accaduto, di far luce su verità e falsità, di ricostruire il sentiero di vite spezzate.
Il tutto attraverso il filo conduttore dell’esilio, attraverso salti temporali tra presente e passato, tra età adulta e età infantile; il tutto attraverso una volontà di ricostruzione dei fatti che è affidata al conoscitore che pian piano ricompone i tasselli del puzzle narrato e che è chiamato a scegliere quella che è per lui la vera verità.
Un libro che attrae, che rapisce, che incuriosisce e che destabilizza a più riprese. Un elaborato che è un pugno nello stomaco, che invita alla riflessione e che non si dimentica anche ad anni di distanza dalla lettura.
«- Morirà presto, il mio albero. Dice: Non faccia il sentimentale. Tutto muore.»
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