Dettagli Recensione
Non è la solita Kate Morton
Kate Morton è la mia scrittrice preferita, ho amato ogni suo romanzo, riesce a catturare il lettore, a tenerlo incollato al libro fino all’ultima pagina, quando fa l’ingresso un inaspettato colpo di scena che ribalta tutta la storia. La adoro, è geniale.
Ma (il “ma” doveva arrivare) come per qualsiasi cosa, c’è sempre un’eccezione che conferma la regola. La perfezione non esiste e anche una scrittrice del calibro della Morton può a volte scrivere qualcosa di meno convincente.
Attenzione, ci tengo a precisare che “La donna del ritratto” non è un brutto libro, anzi, magari io scrivessi una cosa del genere! Il problema è la sua eredità. Ormai ci si è abituati a quel quid particolare che dà un tocco di magia ed emozione ai suoi romanzi… e questo non lo aveva.
Cercherò di andare con ordine (per quanto mi sia possibile, considerando i salti temporali!).
I personaggi sono davvero tanti, sparpagliati in più epoche, collegati tra loro fondamentalmente da una cosa: Birchwood Manor. È questa grande casa appollaiata sull’ansa del Tamigi la vera protagonista del libro. Lei e la presenza che vi abita. Gli altri sono solo di passaggio: Edward, Lucy, Ada, Tip, Juliet, Leonard, Jack, Elodie… sì, sono davvero tanti e sono solo i principali. Non nego che ho avuto un po’ di difficoltà a ricordarmi cosa era accaduto a chi e in che epoca, e ammetto che alcuni di loro spesso mi sono sembrati… come dire… superflui? Ad esempio James Stratton, un personaggio con del potenziale (considerando cos’ha fatto nella sua vita conseguentemente all’incontro con Birdie) ma relegato a un ruolo più che marginale; Ada e la nipote Rosalind Wheeler; per non parlare di Jack, Elodie e tutti i loro affini di cui non ci viene detto che destino avranno. Difatti, il romanzo si chiude velocemente: capitoli brevi, questioni lasciate aperte (che sì, immagino cosa succederà, ma ecco… appunto… IMMAGINO! Che va anche bene lasciare qualcosa all’immaginazione del lettore, ma non un’intera conclusione – o nuovo inizio? – del filo narrativo di alcuni personaggi!), la sensazione che ci sia stata fretta di chiudere una volta svelato il mistero sulla tragedia avvenuta nel 1862.
E poi sì, mancavano i colpi di scena alla Kate Morton, proprio quei cambi di rotta, quelle scoperte choc che ti fanno ricredere sugli eventi accaduti finora. Fino all’ultimo ho sperato che il vero nome di Birdie fosse di qualcuno che si conosceva, che desse un senso all’averlo tenuto nascosto al lettore fino alla fine… e invece niente. È la tecnica della “pistola di Checov”: «Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari». Significa che se si danno degli elementi e poi non vengono usati, al lettore resterà una sensazione di incompletezza. Perché sono stati messi? Ogni elemento nella storia deve avere una funzione, altrimenti è di troppo. Mantenere il vero nome di Birdie segreto e poi scoprire che era solo questo, un nome, a cui non era correlato nient’altro, mi fa solo chiedere perché tenerlo nascosto fin dall’inizio e soprattutto perché sottolinearlo più volte nell’arco della narrazione.
Quindi, con un po’ di sconforto, devo ammettere che di tutti i romanzi di Kate Morton, questo non è il migliore. Ci tengo a ripetere che questo giudizio è dato ormai dall’aspettativa che ho verso questa scrittrice (l’unica fino ad ora che è riuscita a farmi piangere dalla commozione, a farmi entrare in empatia con i suoi personaggi in maniera assurda) e dal paragone con i suoi libri precedenti. Magari chi si approccia a lei per la prima volta con “La donna del ritratto” potrebbe davvero apprezzarlo appieno e molto meglio di me. A volte è vantaggioso essere una tabula rasa e non avere aspettative.
Detto questo, chiudo dicendo che, in ogni caso, lo stile è impeccabile, la cura nei dettagli in base alle epoche è frutto di studi condotti dall’autrice, il suo amore per ciò che scrive è palpabile. È per questo che ritengo che sia un’ottima scrittrice e che anche dopo questa piccola delusione sono comunque in trepida attesa per il suo prossimo romanzo!