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Canta, spirito, canta
 
Canta, spirito, canta 2019-05-06 17:01:05 Mian88
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    06 Mag, 2019
#1 recensione  -   Guarda tutte le mie opinioni

Natura, vincoli, umanità

«Qualche giorno dopo avevo capito cosa cercava di dirmi, che diventare grandi significa imparare come comportarsi in quella corrente: imparare quando bisogna tenersi forte, quando gettare l’àncora, quando lasciarsi portare via»

Jojo e i suoi tredici acerbi anni, Jojo e i suoi occhi penetranti, Jojo e il suo silenzio che è più forte di mille parole proferite. Il Mississippi è il luogo delle sue origini, una terra in cui il legame con la natura e i vincoli di sangue sono fatti di errori, amore, famiglia, violenza, colpe, remissioni, riscatto, pura e semplice umanità, una terra in cui le sue uniche costanti e i suoi veri punti di riferimento sono il nonno Pop e le sue storie incomplete, e la nonna Mam, malata terminale di cancro, esperta di cure medicinali, erbe, empatia, vita. È un giovane uomo di colore alla ricerca del suo cammino l’adolescente protagonista, un ragazzo che chiama sua madre Leonie per nome perché consapevole e inconsapevole al contempo delle sue assenze e delle sue inottemperanze e che ancora non può trovar rifugio nemmeno tra le braccia del padre bianco Michael perché in prigione a scontare la sua pena. Eppure, in questo vortice di incertezze genitoriali e di certezze date dalle figure di Pop e Mam, egli è consapevole che deve prendersi cura di lei: Kayla per tutti, Michaela per Leonie, per lui semplicemente sua sorella minore, una parte di sé. Ciò sia quando è al sicuro nel nido rappresentato dalla sua casa e dai nonni, sia quando non è con loro ed è anzi costretto a seguire la trentenne genitrice e l’amica Misty in quello che è il viaggio per ricongiungersi con il neo scarcerato genitore.
Leonie, dal suo canto, è una donna alla deriva e per questo incapace di scegliere una via retta per la sua vita e quella dei suoi figli, incostante con questi ultimi nonostante a più riprese cerchi di metterli al di sopra di tutto e di tutti e in perenne contrasto con il mondo che la circonda. Si aggrappa incessantemente alla figura di quest’uomo che ha saputo accoglierla dopo la morte del fratello Given (anche se di fatto vi era coinvolto) perché «aveva visto oltre la mia pelle color caffè senza un goccio di latte, gli occhi neri, le labbra scure come prugne, aveva visto me. Aveva visto la ferita aperta che ero, ed era venuto a medicarmi» nonché nella droga perché la soluzione più facile.
È da queste brevi premesse che ha inizio “Canta, spirito, canta” secondo capitolo dedicato a Bois Sauvage da Jesmyn Ward e caratterizzato, come in “Salvare le ossa”, da un mix di protagonisti solidi e tangibili con mano, capaci di far riflettere e di esplorare le corde più intime del lettore e da uno stile narrativo poetico e aspro al contempo, duro e crudo, diretto e magnetico. Il tutto mediante il simbiotico rapporto con la natura, con l’esistenza, con gli spiriti, con le origini, con i dubbi e le paure che soventemente ci accompagnano nel nostro cammino, con i nostri personalissimi vincoli, con una intensa e profonda ricerca di noi stessi e del nostro essere in quello che è un sentiero tortuoso e irto. Il risultato è quello di un componimento che suscita nel lettore un caleidoscopio di emozioni che vanno dalla commozione allo sgomento all’incredulità per giungere ad una diversa consapevolezza dell’universo circostante.
Un romanzo intriso di misticismo, di umanità, ascetico, concreto e reale che lascia una profonda morale, un senso di appartenenza e che induce a guardarsi dentro, nelle profondità dell’animo.
Jesmyn Ward riconferma le sue grandi doti di narratrice e sorprende tornando in libreria con un elaborato dalle molteplici sfumature e ancora più incisivo, complesso, stratificato e ricco del precedente.

«Ho lasciato scorrere via da me le sue idee, per raccogliere la verità come acqua piovana in una pozza. A volte il mondo non ti dà quello che ti serve, non importa quanto lo cerchi. A volte lo tiene per sé.»

«Il mondo è questa cosa qua. Un mondo che ti offre una pianta di mirtilli, un ricordo sbiadito, e una bambina che non riesce a tenere niente nello stomaco. Mi inginocchio sul ciglio della strada, afferro gli steli spinosi il più possibile vicino al terreno e mi metto a tirare, e il ramo mi punge la mano, lacera la pelle, fa affiorare tanti puntini di sangue che si allargano in chiazze più grandi. Mi bruciano i palmi. Questo è un mondo che si prende gioco dei vivi, mi aveva detto Mama quando mi erano venute le mie cose, a dodici anni, e quando sono morti li fa santi. E li tormenta dal principio alla fine. E anche se erano parole dure, quando le aveva pronunciate le avevo visto la speranza sul volto. Era convinta che se mi insegnava tutto quello che poteva sulle proprietà curative delle erbe, se mi consegnava una mappa del mondo per come lo conosceva lei, un mondo disegnato con precisione secondo l’ordine divino, con lo spirito che pervadeva ogni cosa, sarei stata in grado di orientarmi.»

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Commenti

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Una bella recensione che invoglia, non conoscevo questa trilogia, grazie! Mi piacciono i citati riportati, denotano una prosa e un pensiero fine, elegante.
Bravissima Maria! Non vedo l'ora di leggerlo!
In risposta ad un precedente commento
Mian88
09 Mag, 2019
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Molly te la consiglio col cuore. L'autrice scrive romanzi forti ma che rapiscono e lasciano il segno :)
In risposta ad un precedente commento
Mian88
09 Mag, 2019
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Chiara grazie di cuore! Sono curiosa di conoscere le tue impressioni in merito :)
Non ho idea della trilogia, leggendo la tua recensione sono entrata in un mondo allucinato, vorticoso fatto di densità nei messaggi e nello stile. Complimenti per la tua bella recensione
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