Dettagli Recensione
SATURDAY, BLOODY SATURDAY
Una delle controversie più interessanti della filosofia politica è quella tra liberali e liberisti. I primi sostengono che ogni individuo dovrebbe affrontare la vita disponendo di una quota uguale di risorse (cosa che costituirebbe un attacco esplicito alle radicate divisioni di classe, razza e sesso della nostra società); in particolare, nella teoria di Rawls le persone dotate di talenti naturali potrebbero beneficiarne solo se questi arrecano un beneficio anche agli svantaggiati, mentre secondo Dworkin le persone dotate dovrebbero elargire agli svantaggiati una sorta di premio assicurativo (sotto forma ad esempio di una tassazione redistributiva). Secondo i liberisti invece gli individui naturalmente svantaggiati non possono avanzare nessuna pretesa legittima sui talenti dei più dotati, e da ciò deriva un netto rifiuto di qualsiasi intervento coercitivo negli scambi del libero mercato. Nozick, in particolare, sostiene che gli uomini hanno il diritto, inviolabile da parte dello Stato, di disporre liberamente dei propri beni, in virtù di un titolo valido di proprietà che permetta di trasferire liberamente ciò che legittimamente si possiede. Ma, replicano i liberali, se la validità dei diritti di proprietà di ciascuno dipende dalla validità dei diritti di proprietà precedenti, allora per determinare la validità del titolo di proprietà attuale occorrerebbe risalire la catena dei trasferimenti fino all’inizio. Ma qual è l’inizio? L’inizio della serie dei trasferimenti coincide evidentemente con la prima appropriazione del bene da parte di un individuo che ne ha fatto la propria proprietà privata, e la storia insegna (si pensi alla spoliazione delle terre abitate dagli Indiani d’America) che l’acquisizione iniziale è spesso viziata dall’uso della forza e dell’inganno.
Cosa c’entra la filosofia politica con “Sabato” di Ian McEwan? C’entra, eccome, se si pensa che lo stato d’animo più frequente in Henry Perowne, il protagonista del romanzo, è una sottile, impalpabile eppur profonda inquietudine mescolata ad un altrettanto subliminale senso di colpa. La paura di veder crollare il proprio universo di agi e di raffinatezze va di pari passo con un sentimento di colpevolezza nei confronti di tutti coloro che da tale benessere sono forzatamente tenuti fuori. E siccome il confronto non è solo tra il suo personale stile di vita e quello di altri individui a lui vicini, ma tra il sistema capitalistico occidentale e lo stato di indigenza in cui versa il resto del mondo, il discorso si amplia fino ad assurgere a una connotazione planetaria. Del resto, è frequente in McEwan la commistione tra privato e sociale, tra individuale e generale, tra storia e Storia (si pensi alla Seconda Guerra Mondiale che fa da sfondo alla tragedia dei protagonisti di “Espiazione”). Qui è la situazione generatasi dopo l’attentato alle Torri Gemelle a fare da cornice storica agli eventi narrati, e la manifestazione pacifista di Hyde Park, i notiziari che scandiscono metronomicamente la giornata, e perfino un incidente aereo senza conseguenze cui Perowne assiste casualmente dalla finestra della sua camera da letto, riportano ogni istante alla mente del protagonista – un affermato neurochirurgo – la ontologica fragilità del proprio mondo (non è un caso che nella sua mente scaturisca il parallelismo con il declinante Impero Romano minacciato dai barbari) e, quel che è peggio, i dubbi – inconsci, certo, ma non per questo meno tormentosi – sulla legittimità del privilegiato stile di vita che conduce con la propria famiglia (moglie professionista, figlia poetessa, figlio musicista, villa a tre piani nel centro di Londra, automobile di grossa cilindrata), quasi un emblema dell’”homo economicus” di successo del terzo millennio. E siccome, kafkianamente, l’uomo è colpevole per definizione, è quasi naturale e scontata la nemesi che il destino gli riserva. Quella minaccia terroristica che pende come una spada di Damocle sulle città americane ed europee dopo quello sciagurato 11 settembre 2001 e che incrina quotidianamente, come un tumore latente, l’ostentato ottimismo di pochi milioni di persone assediate, invidiate e odiate dai miliardi di diseredati del resto del pianeta, si materializza nella vita di Perowne nella figura di Baxter, un giovane teppista da strada, affetto da una malattia degenerativa incurabile, il quale, dopo un banale incidente automobilistico, lo pedina per poi fare irruzione nella sua abitazione e terrorizzare l’intera famiglia riunita per la cena del sabato sera armato di un coltello e di una pericolosa, psicopatica ansia di vendetta. Volendo seguire la logica del simbolismo esposto in precedenza, l’aggressione subita da Perowne potrebbe rappresentare in scala gli attentati suicidi organizzati da Al Qaeda, e la ribellione di Henry e del figlio Theo che disarmano il malvivente facendolo cadere dalle scale la reazione militare dell’America di Bush. Con una differenza, però, una importante differenza che è soprattutto un messaggio di pace e di speranza. Perowne, chiamato d’urgenza in ospedale per operare proprio Baxter, il quale ha una brutta frattura alla scatola cranica, rinuncia alla sua serata di riposo e si prodiga per salvare la vita al suo aggressore, scoprendo di non provare per lui né odio né desiderio di vendetta, bensì una pietà che, lungi dall’aver connotazioni religiose (Henry è un convinto materialista), è la risposta radicale, ricca di umiltà e di pratico buon senso, per riequilibrare una intollerabile situazione di ingiustizia sociale. Non è quindi la logica dell’occhio per occhio dente per dente, bensì la comprensione e l’aiuto fattivo e solidale a chi è più sfortunato di noi, il messaggio non propriamente conformista lanciato da McEwan in questo confuso e turbolento inizio di millennio.
Con questo rassicurante happy end si concludono le densissime ventiquattro ore di Henry Perowne. Sorge quasi spontaneo il paragone con un’altra memorabile giornata letteraria, quella della Mrs. Dalloway di Virginia Woolf, la scrittrice che ritengo sia il grande nume tutelare di McEwan. Già in “Espiazione” c’era infatti un riferimento tutt’altro che casuale allo stream of consciousness de “Le onde”, al cui stile la Briony diciottenne si ispirava nei suoi racconti. In “Sabato” Perowne e Baxter richiamano invece alla mente la coppia, destinata nel romanzo della Woolf solo a sfiorarsi, della signora Dalloway e di Septimus (del cui suicidio Clarissa si sentiva oscuramente responsabile, e che ella sublima proprio grazie a una profonda compassione). Mi spiace di avere in questa recensione privilegiato troppo il versante simbolico e psicanalitico della storia, in quanto “Sabato”, pur con qualche artificiosità di troppo nella trama, è un romanzo ricchissimo di tematiche, alcune, come quella della morte, soltanto sfiorate, eppure decisive per la sua riuscita. Una cosa vorrei però sottolineare prima di concludere, ed è una virtù che McEwan possiede e che è invece raro riscontrare negli scrittori di oggi: la capacità di affrontare tutti gli argomenti di cui parla, anche quelli estremamente specialistici e complessi, con una grandissima competenza e professionalità, dalle quali si intuisce uno scrupoloso e indefesso sforzo di documentazione che gli permette di trattare della ritirata di Dunquerque, di una operazione al cervello oppure dell’esecuzione di un pezzo blues proprio come lo farebbero uno storico, un neurochirurgo o un musicofilo.
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Non conosco questo libro. Con l'autore vado coi piedi di piombo.
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