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Identità
«Si parte da un dettaglio qualsiasi, talvolta di poco conto, e senza volerlo si giunge a scoprire grandi principi» p. 113
Kees Popinga, trentottenne esausto, stanco e sfiancato dalla sua esistenza di sopravvissuto, rappresenta l’eroe simenoniano per eccellenza. Tutto accade per caso: nel momento esatto in cui concepisce che la sua vita di piccolo borghese sta per giungere al termine e che tutto quel in cui aveva creduto e investito si sta per sgretolare a causa di manovre speculative da parte del proprio capo che lo beffeggia e ritiene incapace di alcunché, ecco che questa consapevolezza di vita non vissuta sopraggiunge. E così, dalla detta alla fatta, quel grigio, quel piattume, quella quotidianità fatta di una moglie e di due figli mai davvero compresi e amati, diventa un qualcosa che rifiuta e da cui rifugge. Un treno, un biglietto di sola andata e via. Che si tratti di amnesia? Di una follia? Pensa chi lo osserva dall’esterno. Tante le opinioni di terzi che in tal senso si susseguono e che cercano di delineare i comportamenti e le azioni compiute da questo risvegliato protagonista. Tuttavia, più questi secondi attori cercano di tratteggiarne i confini e di stilarne gli schemi, tanto più egli rifugge alla visione data spiegando quella che è la sua verità.
«Dunque, non sono né pazzo né maniaco! Solo che a quarant’anni ho deciso di vivere come più mi garba senza curarmi delle convinzioni né delle leggi, perché ho scoperto un po’ tardi che nessuno le osserva e che finora sono stato gabbato. […] Per quarant’anni mi sono annoiato. Per quarant’anni ho guardato la vita come quel poverello che col naso appiccicato alla vetrina di una pasticceria guarda gli altri mangiare i dolci. Adesso so che i dolci sono di coloro che si danno da fare per prenderli.» p. 140-141
Ne emerge una vera e propria partita di scacchi in cui Kees cerca di anticipare le mosse del nemico e al contempo di riscoprire la propria identità, identità che viene a perdersi e a sfumarsi allo sfumarsi delle certezze che sino ad allora lo avevano accompagnato. Indossa dei nuovi panni che lo esorcizzano, che lo rendono un uomo nuovo e privo di regole, che lo inducono a trascrivere tutto per mantenere la lucidità mentale, eppure, tanto più egli si sforza di raggiungere il suo estremo opposto, tanto più è prevedibile quella che sarà una caduta rovinosa e senza scampi e che in un certo senso lo riporterà proprio al punto di partenza di quella vertigine che lo aveva indotto alla ricerca della sua personale verità. Ma esiste davvero una (o più) verità?
«Non c’è una verità, ne conviene?» p. 211
Con una penna chiara, precisa e forbita Georges Simenon offre al grande pubblico un elaborato con personaggi solidi e concreti e che affascina più che per le vicissitudini (che a tratti toccano canoni assurdi e che fanno interrogare il lettore sui vari perché o che ancora tendono ad annoiare per una serie di riflessioni e digressioni che sono e restano mere dichiarazioni di volontà) per l’aspetto introspettivo che avvolge la figura del primo attore.
Per il resto, i temi cari all’autore quali la rottura con il proprio ambiente di origine, l’identità sino all’abbandono dei tratti caratteristici, la libertà in opposizione a quella vita e alla morale piccolo-borghese, ci sono tutti. Esattamente come quella conclusione per la quale quella libertà di fare, scegliere e di mettere a frutto le proprie capacità viene meno nel momento in cui non è permesso a Popinga di riconoscere la propria identità più profonda.
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