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Si può perdere un paese
« -Nessuno ti ha trasmesso l'Algeria. Cosa credevi? Che un paese passa nel sangue? Di avere la lingua cabila nascosta da qualche parte nei cromosomi e che si sarebbe risvegliata quando avessi messo piede in questa terra? »
“L'Arte di Perdere” di Alice Zeniter è un romanzo denso, corposo, voluminoso, che racconta la storia di una famiglia che è stata costretta a lasciare la propria terra ed ha dovuto fare i conti con l'abbandono delle proprie radici.
La narrazione si apre in Algeria, anzi, precisamente in Cabilia, negli anni Cinquanta del Novecento: in questa prima parte del romanzo il protagonista è Alì, primogenito e capofamiglia, che, per un caso fortuito, comincia ad arricchirsi e a diventare benestante nel suo piccolo villaggio. Dopo la fine della seconda guerra mondiale l'Algeria comincia a rivendicare l'indipendenza: Alì e la sua famiglia si trovano nel mezzo di un conflitto sanguinoso e difficile. Da entrambe le parti vengono commessi abusi e violenze nei confronti della popolazione civile ed Alì, spinto ancora una volta dal caso, dalla sorte, si ritrova dalla parte sbagliata: dalla parte dei perdenti. Dovrà lasciare l'Algeria e rifugiarsi in Francia. Nella seconda parte del romanzo il protagonista diventa Hamid, primogenito di Alì, nato in Algeria ma costretto a fuggirne da bambino. Hamid si scontrerà con tutte le classiche problematiche degli immigrati: la sua famiglia, ricca e potente nel villaggio in Cabilia, si trasforma in Francia in persone che appartengono al gradino più basso della scala sociale. In più, Hamid è tormentato dalla condizione di harki, di traditori, che lui e i suoi rivestono rispetto agli altri immigrati algerini: la sua risposta è quella del rifiuto più totale nei confronti delle sue origini e anche, fino ad un certo punto, della sua stessa famiglia. La terza parte del romanzo ha infine una protagonista femminile, Näima, una delle figlie di Hamid. Lei si sente francese al cento per cento, eppure in qualche modo è attratta dall'idea di riscoprire le proprie origini.
Si tratta di un romanzo che permette di addentrarsi nelle pieghe della storia della guerra di liberazione dell'Algeria in modo forse un po' più piacevole che se leggessimo un saggio. L'autrice si è documentata benissimo e sicuramente si tratta di una lettura di qualità. Purtroppo non posso dire lo stesso riguardo al coinvolgimento emotivo, che personalmente ho provato poco. Mi è sembrata una storia un pochino fredda, non sono riuscita ad entrare in empatia con nessuno dei personaggi della prima parte del libro. Un po' più di coinvolgimento l'ho provato nei confronti di Hamid e Näima, ma anche qui mi è sembrato che l'autrice volesse realizzare il romanzo perfetto e scrivere proprio quello che ci si aspettava che avrebbe scritto, quindi mi sono sentita poco presa dalla lettura e un po' annoiata. In conclusione, un romanzo che consiglio, anche se ha deluso in parte le mie personali aspettative, che forse erano eccessivamente alte.
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