Dettagli Recensione
Una struttura inefficace
La domanda che ho cominciato a farmi a più o meno metà del libro è stata: “dove vuole andare a parare l’autrice?” Niente, non ne sono venuto a capo neanche adesso. “Mars Room” è un libro particolare, che credo possa appartenere alla schiera “o ti piace molto, o non ti piace per niente”. Appartengo decisamente alla seconda fazione, anche se non me la sento di stroncarlo completamente. Perché? Perché in fondo è ben scritto e l’autrice ha uno stile particolare e forte, che difficilmente assoceresti a una donna. Non sono sessista, badate, semplicemente non avevo ancora avuto modo di affrontare autori di sesso femminile che descrivessero scene di cruda violenza e che non si fanno scrupolo nello scendere in particolari scabrosi anche nell’ambito sessuale. C’è da dire che l’autrice non poteva certo evitare di farlo, considerato che in “Mars room” ci racconta la storia di una detenuta al carcere femminile di Stanville: spogliarellista che si trasforma in assassina e che lascia nel mondo un bimbo piccolo, Jackson.
La struttura narrativa è la cosa che probabilmente mi ha lasciato più perplesso: il narratore cambia di continuo e si sposta su diverse linee temporali, che partono dal presente per fare capolino nel passato, per poi tornare nel presente e così via. Questo rende tutto piuttosto frammentato; certo, è chiaro l’intento dell’autrice di chiarire come si siano arrivati a verificare determinati eventi, ma spesso si ha la sensazione che di questi chiarimenti si possa fare tranquillamente a meno. Conoscere poi come la nostra protagonista sia arrivata a fare quello che ha fatto soltanto nel penultimo capitolo… non mi ha convinto. L’unica spiegazione che mi sono dato per quest’ultima scelta è stato una volontà di chiarire, soltanto alla fine, quanto la nostra protagonista sia meno innocente di quanto sembri; su questa volontà, tuttavia, non sono pronto a mettere la mano sul fuoco. Oltretutto, ci sono alcune scene scritte con un carattere (font) differente, raccontate da in personaggio sconosciuto e della cui utilità non sono riuscito a venire a capo. Un’idea ce l’ho, certo, ma l’autrice non è molto chiara e se la finalità è quella che penso, non c’era bisogno di aggiungere queste scene; bastava aggiungere un breve paragrafo e avrebbe raggiunto il medesimo obiettivo. Dunque, scelte narrative che mi hanno lasciato con un grosso punto interrogativo, pagine probabilmente superflue e dalla dubbia utilità mi hanno accompagnato in un percorso che non è riuscito a colpirmi. Ci sarebbero stati i presupposti per raccontare una realtà difficile, che ti offre la possibilità di scatenare innumerevoli riflessioni… ma purtroppo Rachel Kushner, almeno con me, ha fallito.
Romy Hall è una spogliarellista del Mars Room, un locale di San Francisco. Come spesso capita a persone che fanno questo mestiere, si ritroverà faccia a faccia con diversi tipi di persone, che per la maggior parte non sono esattamente raccomandabili. Ha un figlio che vede pochissime ore al giorno, un figlio avuto in un rapporto occasionale con un dipendente di un altro locale simile al Mars Room.
Quasi ogni spogliarellista ha il suo “cliente fisso”, e quello di Romy alias Vanessa è Kurt Kennedy, reduce del Vietnam che si affezionerà a Romy in un modo praticamente ossessivo, al punto da costringerla a scappare; al punto da spingerla a ucciderlo nel momento in cui lui scoprirà dove si è nascosta. Tranquilli, non è uno spoiler, perché questo lo saprete fin dal principio. Alla fine dubiterete un po’ di tutto ma, ripeto, non so se questa fosse una precisa intenzione dell’autrice. Dunque Romy verrà rinchiusa nel carcere femminile di Stanville, nel quale verremo a conoscenza delle dinamiche che regolano quella che in fondo è una comunità di donne che, colpevoli o meno, conservano intatta la loro fragilità e soffrono, come ogni essere umano.
“Almeno in prigione lo sai come vanno le cose. Cioè, non lo sai per davvero. È imprevedibile. Ma in un modo noioso. Non è che può succedere qualcosa di tragico e tremendo. Cioè, può succedere, come no. Può succedere eccome. Solo che in prigione non puoi perdere tutto, perché l’hai già perso.”