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Molto forte, incredibilmente vicino, incredibilmen
«Avevo conosciuto la gioia, ma non abbastanza, può essercene abbastanza? La fine del dolore non giustifica il dolore, e il dolore è infinito, che macello che sono, pensai, come sono stupido, stupido e meschino, e inutile, misero, patetico, come sono disperato. Nessuno dei miei animali conosce il proprio nome, che razza di persona sono, io? Alzai il suo dito come se fosse la puntina di un giradischi e sfogliai all’indietro, una pagina alla volta…»
Il suo nome è Oskar Schell ha nove anni anche se soventemente ne dichiara dodici, è inventore, designer di gioielli, fabbricante di gioielli, entomologo dilettante, francofilo, vegano, origamista, pacifista, percussionista, astronomo dilettante, consulente informatico, archeologo dilettante, collezionista di monete rare, farfalle morte di morte naturale, cactus in miniatura, cimeli dei Beatles, pietre semipreziose e altro, ma soprattutto, è colui che risolverà l’enigma di quella chiave misteriosa rinvenuta per caso e di nascosto e il cui unico indizio è “Black”. Certamente non sarà semplice giungere alla risoluzione dell’arcano, ma lui non può arrendersi, non può perché quella chiave così particolare è legata a suo padre, il padre che ha perso nel modo peggiore e che per questo, sfruttando un’intelligenza rara ma preziosa, lo ha indotto a creare un suo universo fatto di metafore, obiettivi e tanti lividi con cui far fronte a questa perdita così inspiegabile e soprattutto inaccettabile.
«Servono tasche enormi, tasche abbastanza grandi per le nostre famiglie, e per i nostri amici, e anche per le persone che non sono nelle liste, gente che non abbiamo mai conosciuto ma vogliamo proteggere. Servono tasche per i distretti e per le città, una tasca che possa contenere l’universo. Otto minuti e trentadue secondi…»
E poi ci sono loro, donne e uomini che sono voci di un passato che non è stato dimenticato, che è sinonimo di dolore, di amore, di perdita. Perdita perché la guerra è un qualcosa di nefasto sia che accada negli anni duemila a causa dei terroristi, sia che accada negli anni ’40 per una diversa forma di follia umana. È un cancro che non si esaurisce mai, un male che non termina al cessare del conflitto bellico, è un fantasma che persiste anche a lustri di distanza e che si porta dietro spettri, spiriti, ombre e apparizioni. Per quegli amori non vissuti, per quelle vite uccise per mano propria, per quelle vite perite innanzi ai nostri occhi, per quei legami strappati, per quei figli mai nati, per quei figli defunti. E sono proprio queste ombre che ci affiancano passo passo a non concederci una vita normale, a toglierci la voce, a far sì che si creino luoghi del nulla e luoghi del qualcosa, che il terrore sia tale da impedire all’individuo di restare. Sono proprio queste che spesso ci fanno commettere gli errori più grandi, sbagli che non hanno rimedio e con cui dobbiamo fare i conti per quel che sono.
«Non smetto di pensare a quella notte, ai grappoli di candelotti rossi, al cielo che era come un’acqua nera, e che solo poche ore prima di perdere tutto avevo tutto. […] Ho tanta paura di perdere qualunque altra cosa amata, che non voglio amare niente, e forse questo avrebbe reso possibile l’impossibile. Forse, ma non ne sono stato capace, avevo sepolto dentro di me troppe cose, e troppo a fondo.»
È un romanzo intenso e stratificato “Molto forte, incredibilmente vicino”, un romanzo che divide e che fatica ad arrivare subito a causa di una narrazione molto confusionaria (soprattutto nella prima parte) che alterna passato e presente senza presentare i personaggi, se non il piccolo Oskar, che non mostra, bensì, scarica. Scarica, sì. Un sostantivo che può apparire inappropriato ma che in realtà è emblema perfetto di quel che fa Foer. Perché il lettore ha la percezione di trovarsi innanzi ad un qualcosa di complesso, metaforico e filosofico al contempo, tuttavia, questo qualcosa che all’inizio sembra sfuggire alla sua percezione successivamente gli si scaraventa addosso con una forza devastante e inesauribile. Lo stesso mistero che trova quella che è la più logica delle soluzioni proprio perché ricavato dalla normalità e per questo percepibile quale plausibile e concreto da chi legge (che aspettandosi magari di più può restarne deluso), ha un significato recondito, diverso. Gli stessi incontri del bambino hanno una morale e una connotazione specifica da non trascurare.
Ci sono passaggi davvero duri, passaggi che invitano a riflettere sul proprio vivere, sul nostro io, sui nostri sensi di colpa, su quel che ci circonda, sull’umanità e molto altro ancora. Un libro forte, incredibilmente vicino, ma anche un libro vero e fortemente empatico che merita di essere letto. Un invito: non arrendetevi nonostante la difficoltà della lettura.
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