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Il giovane Holden
 
Il giovane Holden 2019-04-15 06:13:39 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    15 Aprile, 2019
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CHI E' HOLDEN CAULFIELD?

"Un supplente di una scuola di Long Island fu licenziato per una lite con uno studente. Dopo una settimana, è tornato in quella classe. Ha sparato allo studente, senza ucciderlo. Ha preso la classe in ostaggio e alla fine si è sparato, uccidendosi. Una cosa mi ha incuriosito, una frase scritta dal Times. Un vicino ha descritto l’insegnante come una brava persona, che leggeva sempre Il giovane Holden. Quel povero Chapman, che uccise John Lennon, lo aveva fatto solo per attirare l’attenzione del mondo sul giovane Holden. E disse che quella lettura sarebbe stata la sua difesa. Il giovane Hinckley, quello che sparò a Reagan e al suo addetto stampa, disse: “Se volete la mia difesa, non dovete far altro che leggere Il giovane Holden…” Beh, lo chiesi in prestito a una mia amica per vedere che cosa avesse sottolineato e lo rilessi perché volevo cercare di capire perché questo romanzo bellissimo, toccante, intenso, pubblicato nel luglio del ‘51 si sia trasformato in un manifesto dell’odio. Ho cominciato a leggerlo. È esattamente come me lo ricordavo. Tutti quanti sono fasulli. Pagina 2: “Mio fratello vive a Hollywood, fa la prostituta.” Pagina 3: “Che razza di fasullo era suo padre.” Pagina 9: “La gente non si accorge mai di nulla.” Poi, a pagina 22, mi si sono drizzati i capelli. Beh, ve lo ricordate Holden Caulfield il classico ragazzo sensibile col suo berretto rosso da caccia al cervo? Da caccia al cervo? Un accidente. Ci ha chiuso un occhio come per prendere la mira. È un berretto per sparare alla gente. Ci spara alle persone con quel berretto. Eh, questo libro prepara la gente a momenti di grandezza mai immaginati prima. Poi a pagina 89: “Preferirei buttare qualcuno dalla finestra o staccargli la testa con un’accetta che dargli un pugno in faccia. Odio le scazzottate, quello che mi fa più paura è la faccia dell’altro.” Ho finito il libro, è una storia toccante. È comico perché lui vuole fare tante cose ma non riesce a fare niente, odia le falsità e sa solo mentire agli altri, vuol essere voluto da tutti ma è solo pieno d’odio e completamente egocentrico. In altre parole il ritratto piuttosto fedele di un adolescente maschio. […] Beh, l’alone che circonda questo libro che forse dovrebbe essere letto da tutti tranne che dai ragazzi è questo. Il libro deforma come in uno specchio e distorce come in un altoparlante rotto una delle grandi tragedie del nostro tempo, la morte dell’immaginazione. […]” (dal monologo di Paul, il protagonista del film “Sei gradi di separazione”, di Fred Schepisi).

Chi è Holden Caulfield? L’alfiere ante-litteram di una generazione ribelle, anti-capitalista e anti-borghese, che nel rifiuto dei miti dei padri ricorda un po’ quella del ’68; oppure il rappresentante border line di un disagio esistenziale e di un male di vivere talmente profondi da farsi patologia nichilista e autodistruttiva (anche qui preconizzando la generazione X delle droghe, dell’anedonia, delle derive neo-naziste)? A propendere per la prima ipotesi ci sono milioni di lettori, soprattutto adolescenti, che, forse catturati dalla sua sincerità, dalla sua fragilità, dal suo offrirsi senza pudori e senza difese, lo hanno in qualche modo visto come un loro simile, quasi un fratello maggiore, un modello a cui ispirarsi, se non proprio da imitare. I fautori della seconda tesi sono invece coloro che, come il protagonista di “Sei gradi di separazione” (il film di Fred Schepisi del 1993), lo giudicano il simbolo di un’America malata, immatura e pericolosamente incline all’odio, al razzismo e alla violenza. Chi è dunque Holden Caulfield? Personalmente propendo per la seconda linea di pensiero, forse perché i miei anni sono vicini alla sessantina e pur riconoscendo il fascino istintivo di un personaggio che sfrutta – non dimentichiamolo – una delle trappole più comuni della letteratura moderna, ossia l’istintiva e preconcetta identificazione del lettore con l’io narrante. Ad una analisi approfondita non possono comunque sfuggire alcuni tratti essenziali, direi quasi costitutivi, della personalità del protagonista. Holden ha sì innegabili slanci di generosità o di cavalleria, ma quanta autentica bontà, quanto altruismo c’è in questi comportamenti, e quanto invece disinteresse per le proprie cose o paura della solitudine? I suoi atteggiamenti apparentemente morali non danno mai veramente l’impressione di essere “normali”: la sua spontaneità è piuttosto avventatezza, la sua generosità è dissennatezza (pensiamo alla sproporzionata offerta fatta precipitosamente alle due suore – che peraltro neppure sollecitano un atto di carità – quando è chiaro che le sue disponibilità si stanno prosciugando, al punto che qualche pagina dopo è costretto a chiedere in prestito alla sorellina i suoi risparmi per i regali di Natale), i suoi attaccamenti e le sue infatuazioni (per la sorella in primis, ma anche per le sue amiche, che un momento vorrebbe sposare e il momento dopo lo annoiano al punto da desiderare di rimanere solo) hanno qualcosa di esagerato, di morboso. Holden alterna vitalismo e depressione, allegria e tristezza, cameratismo e misantropia. Odia i film, ma poi in una scena immagina di essere il protagonista di una scena melodrammatica in cui si trascina stoicamente per le strade con una ferita mortale al ventre. Odia lo snobismo e l’ostentazione degli status symbol della upper class cui in realtà appartiene, ma poi si trova altrettanto a disagio negli ambienti sordidi che si trova a frequentare nel corso del suo compulsivo vagabondare. In realtà Holden ce l’ha con tutto e con tutti, perché non c’è niente che in fondo lo interessi veramente (come gli fa giustamente notare la sorella Phoebe quando gli dice: «A te non ti piace niente di quello che ti succede») e nell’umanità che lo circonda vede solo bastardi o cafoni o barbosi o palloni gonfiati o finocchi e pervertiti. In quest’ottica, siamo poi sicuri che il professor Antolini che lo ospita e da cui nottetempo fugge spaventato sia un omosessuale e abbia voluto approfittare di lui, o sono solo le paranoie di chi vede intorno a se un mondo torbido e malsano? Holden è un disadattato, un asociale, forse un psicopatico in prospettiva, nel migliore dei casi un marziano, una brutta copia del Piccolo Principe (curioso questo accostamento, che ho scovato navigando in Internet, secondo cui “Il giovane Holden” sarebbe una sorta di trasposizione realistica del romanzo di Saint-Exupery, in cui Phoebe rappresenterebbe la rosa del principe e i personaggi incontrati da Holden gli strampalati abitanti dei pianeti visitati dallo stesso principe nel suo metaforico viaggio). Quando in certi momenti ha un comportamento eticamente encomiabile (come quando rinuncia al suo proposito di scappare perché Phoebe gli dice che verrà con lui, e non vuole che la sorella butti via la propria vita), in realtà lo fa – a parte la concreta irrealizzabilità dei suoi velleitari e infantili propositi – soltanto per motivi patologici (perché vuole un bene smisurato alla sorella). Holden è in fondo un perfetto soggetto di studio per uno psichiatra, e difatti è proprio da una clinica psichiatrica che egli alcuni mesi dopo racconta la sua bizzarra odissea. Se davvero dovessi sbilanciarmi a immaginare il futuro adulto di Holden, non credo che sarebbe quello di un padre di famiglia o di un libero professionista come il padre, e nemmeno quello di uno scrittore (nonostante che i componimenti siano l’unica cosa che gli riescano bene a scuola e nonostante i vaghi paralleli con la vita dell’autore, misantropo leggendario – ricordo che Holden sogna di ritirarsi a vivere in una campagna solitaria, ai margini di un bosco -, e inoltre cattivo studente in gioventù): al contrario, scommetterei sulle uniche due alternative a mio parere plausibili per una personalità così disfunzionale e squilibrata, ossia il manicomio o il suicidio. Oppure magari mi sbaglio, e Holden è solo un normalissimo adolescente che, dopo gli anni di ingenuo e confuso anticonformismo, entrerà in banca pure lui, come il “Compagno di scuola” di Antonello Venditti.

N.B. Non mi sono soffermato in questo breve commento sul valore letterario del romanzo, perché ritengo che “Il giovane Holden” sia ormai entrato a pieno titolo (oltreché a pieno merito) nel novero dei classici, e sia perciò già stato abbondantemente e adeguatamente compulsato e sviscerato in tutti i suoi aspetti critico-estetici. Voglio solo far presente che il suo linguaggio, uno slang estremamente libero e disinvolto, se oggi, dopo aver letto tanti romanzi americani contemporanei, può sembrare abbastanza normale, al momento della sua uscita, il 1951, deve essere apparso davvero innovativo e in anticipo sui tempi, se è vero che è stato capace di provocare molteplici accuse di scandalo e aperte crisi di rigetto da parte di tanti benpensanti e critici. In ogni caso, il capolavoro di Salinger è ancora estremamente attuale e sembra avere molti anni in meno dei suoi sessantotto effettivi, al punto da attirare ancora moltitudini di lettori, attratti, oltre che dalla sfaccettata ed enigmatica personalità del protagonista, anche dal ritmo incalzante della vicenda (che dura in tutto meno di 72 ore) e dal godibilissimo umorismo che la sottende.

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Matelda
16 Aprile, 2019
Ultimo aggiornamento:
16 Aprile, 2019
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Come sempre , Kafka62, una perfetta recensione di un classico da me amatissimo sin dalla sua prima edizione. Grazie !
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kafka62
16 Aprile, 2019
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Grazie a te, Matelda.
Utile ed interessante la tua riflessione, un punto di vista ricco ed originale.
Complimenti. Grazie per le indicazioni contenute nel film "Sei gradi di separazione" che mi auguro di riuscire a vedere presto
In risposta ad un precedente commento
kafka62
17 Aprile, 2019
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Grazie Elisabetta. Ho citato "Sei gradi di separazione" per dimostrare quanto "Il giovane Holden" sia entrato nell'immaginario collettivo americano, in quanto in questo film un imbroglione di colore si fa passare per il figlio di Sydney Poitier e riesce a incantare una coppia di ricchi mercanti d'arte di New York proprio sostenendo originali argomentazioni sul romanzo di Salinger.
Laura V.
18 Aprile, 2019
Ultimo aggiornamento:
18 Aprile, 2019
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Complimenti, Giulio, per la tua recensione!
Io, purtroppo, non sono riuscita ad apprezzare questo libro, che ho letto meno di un anno fa; oltretutto, avevo trovato molto indisponente il protagonista. Chissà, se lo avessi letto da ragazzina, forse l'avrei apprezzato...
Anche io come la mia omonima non l'ho apprezzato. Per rispondere alla tua domanda: è una lagna! Cerco ancora in me le ragioni della mia bocciatura e non le trovo, è respingente. Il tuo commento è bello e interessante come sempre.
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