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Coe gioca in casa
Che l’adolescenza sia un’età difficile è opinione comune. Che esista un periodo nell’esistenza di un essere umano facilmente vivibile è comunque da dimostrare. Sono tuttavia sicuro che il nostro carattere, i princìpi, le convinzioni, abbiano origine e mettano radici nelle nostre menti in quegli anni, quelli in cui diveniamo una macchina pensante.
Quanto può plagiarci l’ambiente familiare, la presenza silenziosa o invadente di un genitore? In che modo possiamo essere condizionati dall’estrazione sociale, dal percorso scolastico e dalla frequentazione di coetanei dalla personalità influente? Le scelte che faremo saranno inconsapevolmente guidate da numerosi agenti esterni o saremo capaci di resettare le informazioni per costruirci una coscienza vergine?
Jonathan Coe gioca in casa in questo romanzo, ambientato nella sua città: Birmingham; nella scuola che ha frequentato: la King Edward’s School, un prestigioso istituto riservato a rampolli di famiglie benestanti, con qualche rara eccezione che potremmo definire fortunata ma anche il contrario. Un’ambientazione che può ricordare il meraviglioso film “L’attimo fuggente”, manca solamente il mitico professor Keating, anche se il contesto storico è successivo di una ventina d’anni.
Sono prevalentemente loro, gli studenti della King Edwrd’s, i protagonisti, con le loro ansie, gli amori, le amicizie, i dissapori. Sulle loro spalle gravano le aspettative dei padri, ma ancora ne sono inconsapevoli e coltivano i loro interessi giovanili, sognano un futuro da scrittori o musicisti, amori travolgenti e indissolubili.
La trama di questo romanzo consente all’autore un’alternanza di argomenti, alcuni apparentemente futili poiché frutto di menti acerbe, altri di notevole importanza storica in un’Inghilterra alle prese con una svolta politica e sociale. Ed è così che viene dipinto un quadro che può sembrarci non ben definito, di stile impressionista, che, visto nella sua interezza, da una debita distanza, sa trasmettere messaggi, provocare riflessioni.