Dettagli Recensione
La gentilezza dello sguardo rivolto alla vita
«La risposta l’avrebbe trovata presto, probabilmente. E forse, crescendo, l’avrebbe trovata anche per le altre domande. Domande di ogni tipo. Quale mazza usare? Esisteva davvero un museo del panino? Perché ai tuoi ebrei non piaceva giocare a golf? Il padre aveva avuto paura o era solo concentrato a bordo del De Havilland? E Mussolini, come sapeva il fatto suo? Perché il cibo usciva così diverso dall’altra parte del corpo? Come si evitava di far cadere la cenere da una sigaretta accesa? Il Paradiso era in cima al camino come sospettava? Come mai il visone era così ostinatamente attaccato alla vita?» p. 18
Jean Serjeant nasce quando la Prima Guerra Mondiale è conclusa e i primi rudimenti per la Seconda iniziano a fiorire, cresce con il mito dello zio Leslie, imbonitore che la trascina nei suoi peregrinaggi, durante le partite di golf o che ancora le insegna il rito segreto per non far cadere la cenere della sigaretta, conosce Thomas – Alba Due – Prosser, sergente-pilota di Hurricane IIB che in quella notte del giugno del 1941 sui cieli francesi volgendosi a est per guardare la Manica, si accorse di quell’arancia del sole viscosa e già spuntata all’orizzonte, per poi lasciarsi rovinare in una discesa di qualche migliaio di piedi per esser risorpreso sempre da quel miracolo circolare che per la seconda volta si levava dallo stesso punto dello stesso mare per regalargli un’altra alba, una seconda, a pochi minuti dalla prima, dimostrando che sì, tutto era possibile, e conferendogli quel soprannome di battaglia che sempre lo ha accompagnato, si sposa con un uomo che crede di amare quando alla fine di sentimenti d’amore alcunché comprende, e dopo vent’anni di matrimonio, all’età di trentotto anni, resta finalmente incinta di Gregory, circostanza, che la porta a distaccarsi da quell’unione fine a se stessa e a crescere il figlio da sola.
Jean è una donna ordinaria. Il suo è un aspetto normale, avvalorato da un carattere silente che non trabocca mai di emozioni e che lascia scorrere gli eventi per quel che sono, eppure, ella è anche una donna che volge al mondo uno sguardo diverso, un occhio fatto di curiosità. E tutto ha inizio proprio in quegli anni giovanili in cui tanti erano i quesiti e ben poche le risposte, tanti erano gli interrogativi di cui la maggior parte privi di rilevanza. Questa ingenuità e questa fame di sapere le fanno da bussola nella vita adulta, un’esistenza incolore e comune fatta di fallimenti, insoddisfazioni, momenti sfumati, attimi trascorsi, e tentativi di comprendere quell’universo maschile così anomalo e incomprensibile anche con avvicinamenti alla sfera femminile diametralmente opposta. La sua è una vita lunga, che mentalmente può essere suddivisa in tre sezioni che proprio nell’ultima confluirà in una saggezza ricercata e tuttavia inaspettata, in un coraggio imprevisto rivolto al cercar di dar risposta, con quel suo percorso su questa terra, a domande mai esplicitamente formulate quali: come fa la gente comune che conduce un vivere anonimo e mesto a proteggersi dal tedio? Come può, se ne è capace, render unica questa nostra presenza in questo mondo? Com’è riuscito in questa impresa così sorprendente il sergente-pilota Thomas Prosser? Com’è riuscito a renderla eccezionale? Che la risposta ad ogni quesito sia imparare a scorgere lo straordinario nell’ordinario, il magico nel quotidiano?
Con uno scritto avvalorato da una penna pregiata, curata in ogni minimo dettaglio e capace di costruire personaggi solidi e vividi nella mente del lettore, Julian Barnes ci propone un testo apparentemente di facile e veloce lettura ma, la cui essenza e l’insita morale, sopraggiunge con tutta la sua forza soltanto a distanza di tempo dalla sua conclusione. Non stupisce pertanto, nel proseguire del componimento, il ritrovarsi più volte a chiedersi dove effettivamente egli voglia arrivare, quale forza abbia questa donna così curiosa e così eclettica che tanto desidera sapere, che tanto si è chiesta, che tanto si è risposta e che soltanto alla fine è arrivata a porsi quelle che ritiene essere le domande dal giusto significato, dal corretto epilogo, quale sia, ancora, il lascito di questa vita incolore ma ciò nonostante ricca di colore, non stupisce, dunque, coglierne le vere sfumature a giorni di distanza, quando la mente, confusa e stordita, torna a riproporsi quegli stessi dubbi e quelle stesse questioni che quegli occhi rivolti al cielo solevano proporsi.
«In passato credevo di conoscere le risposte – disse Jean. – Ecco perché me ne sono andata. So cosa fare, pensavo. Forse devi convincerti di conoscerle le risposte, altrimenti non combini mai niente. Pensavo di conoscerle quando mi sono sposata; o meglio, credevo che sarei stata capace di trovarle. Pensavo di conoscerle quando me ne sono andata. Adesso non ne sono più tanto certa. O meglio, adesso so quali sono le risposte a domande diverse. E magari va così: sappiamo solo le risposte a un certo numero di cose a seconda del momento» p. 145
«- Oh, ricordarle tutte, adesso è una parola! Per esempio, volevo sapere se esisteva un museo del panino e, se sì, dove si trovava. E perché agli ebrei non piaceva giocare a golf. E come sapeva il fatto suo Mussolini. E se il paradiso era in cima al camino E perché il visone è così ostinatamente attaccato alla vita.
- E sei riuscita a trovare qualche risposta?
- Non ne sono sicura. Non ricordo più bene come sia andata: se abbia trovato le risposte o abbia perso interesse nelle domande. Suppongo, che crescendo, mi sia resa conto che l’idea che un museo conservasse il panino uova e crescione della regina Vittoria fosse una vera stupidaggine, e poi ho scoperto che agli ebrei il golf non piaceva, ma erano i golfisti che non sopportavano gli ebrei. Quanto al paradiso in cima al camino: forse a un certo punto ho imparato che ci sono domande che devono essere formulate diversamente per ottenere una risposta. E non ho mai scoperto perché il visone è così ostinatamente attaccato alla vita» p. 176
In conclusione “Guardando il sole” di Julian Barnes è un elaborato che nasconde al suo interno tanti quesiti filosofici, che richiede una lettura centellinata, che arriva “a distanza” di tempo, che suggerisce di vedere e di chiedersi. Vedere perché talvolta basta schermarsi gli occhi con le mani che perfino il sole può diventare un oggetto di osservazione tra gli interstizi delle dita schiuse, chiedersi, magari anche errando, ma pur sempre curiosando perché la vita è così effimera, labile, imprevedibile, lieve e dolorosa al contempo, che richiede di essere vissuta, assaporata con gli occhi genuini di un bambino.
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Un pizzico di curiosità, un pizzichino [appena appena :D] ci permette di crescere e anche di goderci questa esistenza spesso così grama.
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