Dettagli Recensione
Non il miglior Murakami
Ha trentasei anni il protagonista di quest’ultima storia di Murakami Haruki, ha con sé una borsa con qualche vestito, delle matite per disegnare, il dolore di una moglie che lo ha tradito e lasciato dopo sei anni di matrimonio e un lavoro come ritrattista su commissione che svolge con la convinzione più assoluta di non esser altro che un fallito.
Hokkaido, paesini, pescatori e poi una sistemazione in quella casa sperduta nel nulla che un tempo ospitava un suo simile, un pittore colpito da una grave malattia. Nove mesi, i più duri e difficili della sua vita in quello che non è stato altro che un periodo travagliato e dal retrogusto amaro, nove mesi, quelli che sono appena trascorsi che adesso può rivivere e rianalizzare nel suo nuovo rifugio.
Una narrazione lenta e con pochi colpi di scena è quella che ha principio, una narrazione dove il vero viaggio è mentale e dove il ricordo è riesumato dal ricordo, dal tempo ormai inevitabilmente trascorso e che non può più tornare e dalla riscoperta di un sé sconosciuto, di un senso della vita perduto e di un inaspettato talento per ritrarre. Il tutto in un perenne senso claustrofobico e nella totale assenza di sconvolgimenti tali da “movimentare” il proseguo del testo e in una costante presenza di smarrimento e di solitudine radicata e imprescindibile dove ciascun personaggio delineato è disilluso, affranto, sfiduciato dal fato, dagli eventi, dall’io suo più intimo. Il risultato è quello di un romanzo soltanto apparentemente lineare e dove ogni passo è tratteggiato dal caos della mente, dal suo frastuono, dalla sua vacuità.
L’impressione durante la lettura è quella di trovarsi innanzi ad un testo incompiuto che necessita per sua natura del suo secondo capitolo ma che eppure spinge il lettore a chiedersi a più riprese dove voglia arrivare lo scrittore, quale sia effettivamente il senso di tutto ciò. Non condivisibile è la scelta di suddividere il testo in due volumi proprio perché l’uno è imprescindibile all’altro.
Il leggere mi ha ricordato i tempi dei miei esami universitari e in particolar modo degli studi di procedura penale, insegnamento in cui il docente sempre consigliava di non suddividere la stessa materia in due parti (e conseguenti esami) tra loro separate perché ciascuna è funzionale e complementare all’altra. L’una non può esistere senza l’altra. Potrà sembrare fuori luogo come esempio, ma la sensazione provata e rievocata è proprio questa, ovvero quella di aver voluto dividere un qualcosa di indivisibile per suo naturale essere.
Al lettore non resta altro che incompletezza e di disordine tanto che se da un lato è invogliato ad andare avanti e leggere il seguito, dall’altro ne è scoraggiato perché quello che si trova innanzi è un Murakami conosciuto e al contempo sconosciuto, al di sotto del suo ordinario rendimento e quindi carente.
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