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Il coraggio di perdere
“Storia parziale delle cause perse” è un romanzo di narrativa generale che unisce le storie dei due protagonisti, quella del genio degli scacchi Aleksandr e quella della studiosa Irina, mantenendo i capitoli alternati; storie che troveranno però un punto d’incontro nella Russia teoricamente democratica sotto il rigido giogo di Putin.
Irina è una trentenne americana affetta dalla corea di Huntington, una patologia ereditata dal padre; nel romanzo ci sono frequenti riferimenti alla malattia
«[...]ti prego, fammi ammalare di Aids così posso morire di polmonite, così il mio cervello sarà l’ultima cosa ad andarsene, così quando morirò sarò io a morire,e non qualcun altro.»
ma ciò non rendere affatto la narrazione ridondante, perché la duBois riesce a trovare sempre dei modi diversi per illustrare i sintomi e le conseguenze, sia per il corpo del malato sia per chi gli sta vicino. In questo aspetto, il volume mi ha ricordato con prepotenza “Io prima di te” di Jojo Moyes, benché si parli di situazioni diametralmente opposte: infatti, dal un lato abbiamo Will incapace di muoversi eppure del tutto lucido, mentre dall’altro il padre di Irina con un corpo in buone condizioni ma una mente sempre più debole e incapace di trattenere i ricordi.
L’interesse del padre per gli scacchisti russi convincerà Irina a lasciare una vita placida e sostanzialmente vuota a Boston e partire per Mosca, dove spera di incontrare l’ex campione Aleksandr e trovare risposta ad domanda decisiva per chi è affetto da una malattia terminale, ossia come affrontare una partita impossibile da vincere.
Anche Aleksandr è protagonista di una vita difficile, trascorsa a barcamenarsi tra la dissidenza e il desiderio ad un’esistenza normale, e in parte simile a quella del protagonista de “Il meteorologo” di Olivier Rolin. Dotato di una fervida immaginazione,
«Aleksandr spiegava e spiegava, ma Ivan, a quanto pareva, non lo ascoltava. Di certo non gli rispose mai.»
giunge a Leningrado alla fine degli anni Settanta, dove si fa ben presto conoscere per la sua abilità di scacchista senza per questo cedere alle lusinghe del partito, aiutando invece un gruppo di giovani ribelli nella diffusione di una rivista contraria alle direttive del Partito. Lo seguiamo per tutta la sua vita, fino ai primi anni 2000 con il tentativo di candidarsi alla guida del Paese e, soprattutto, all’incontro con Irina.
La trama di questo romanzo è ben più ampia e va esplorata dal lettore senza ulteriori informazioni. Mi sembra comunque utile sottolineare l’importanza di questa lettura per il suo lato storico; può sembrare strano parlare di storia vista l’ambientazione, ma sono convinta che la seconda metà del ventesimo secolo sia purtroppo uno dei periodi meno studiati nelle scuole italiane proprio perché così vicino a noi.
Al fianco di due protagonisti tanto complessi ed affascinanti, troviamo dei personaggi descritti con altrettanta cura e tridimensionalità; in questo cast eterogeneo spiccano Lars, vecchio scacchista e millantatore seriale, e l’antica fiamma di Aleksandr, Elizaveta. La duBois si spende con energia anche nella descrizione delle ambientazioni, in particolare delle città russe,
«A Leningrado - nei lunghi viali, nei sinuosi canali - si poteva trovare speranza del passato per il futuro. A Mosca il futuro era stato catturato, demolito e piegato al volere del presente.»
dove si esprimono al meglio le splendide metafore che riempiono l’intero volume, rendendolo un susseguirsi di citazioni memorabili.
All’autrice va riconosciuto anche un apprezzamento per l’enorme lavoro di ricerca che ha sicuramente preceduto la stesura del romanzo, sia per gli aspetti storici sia per quelli geopolitici. Particolare anche la scelta di ricorrere a frequenti ripetizioni delle stesse espressioni o delle singole parole, come “polvere” usata in contesti molto diversi:
«[...] di quanti mesi avrebbe impiegato l’esercito sovietico a sottomettere un territorio e un popolo così incolti e polverosi.»
A dispetto dell’asprezza dei temi trattati, ho apprezzato moltissimo questa lettura, ma questo non mi ha impedito di individuare con oggettività un paio di problemi: la decisione di adottare la narrazione in prima persona nei capitoli di Irina (troppo emotivi) e della terza persona in quelli di Alexsandr (troppo asettici) è un po’ azzardata e avrei trovato più adatta una scelta omogenea. L’altro problema riguarda invece l’edizione italiana, perché le molte parole e frasi russe presenti nel testo, seppur in gran parte comprensibili, non sono state tradotte e questo può rallentare a tratti la lettura.