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Attesa protratta e desiderio
Una professione al tramonto, ottocento ore al pensionamento, ottocento ore di troppo, attesa ripetitiva e decadente, innumerevoli storie ed i soliti volti vuoti senza una reale idea di come funzionino le persone.
E se la vita, oltre le pareti di casa, fosse priva di scopo come quella lì dentro, angoscia e solitudine le sole certezze, ed il protagonista fosse come tutti quei pazienti di cui ha riso?
Lui è uno psicanalista settantaduenne, annoiato, recalcitrante, indifferente, un uomo invecchiato che vuole restare solo ed autocommiserarsi, invecchiare significa invisibilità, pelle in eccesso, articolazioni dolenti, assistere inermi alla separazione di corpo e mente divenendo completamente estranei a se stessi.
Lei, Agathe, la donna tedesca, una bruna di un pallore mortale e di una magrezza impressionante, occhi grandi su un viso affilato, soffre di depressione, di crisi maniaco-depressive ed autolesionismo, con il solo desiderio di essere curata.
Un inizio stentato, controvoglia, cercando di definire i contorni di una storia, una relazione sorprendente ed inaspettata che sradicherà ogni certezza, transfert e controtransfert a ribaltare l’ evidenza ridefinendo il rapporto medico-paziente.
Bastano pochi mesi per scoperchiare e costruire un confronto tra una donna sepolta viva nella sua esistenza, una condannata a morte che crede di non avere combinato nulla, ossimorica presenza, unica ed insignificante, ed un uomo che ha sempre vissuto delle stesse cose, il solito ristorante, i soliti pazienti, la solita segretaria, il solito logoro pigiama azzurro, una vita che continua a sfuggirgli non avendo mai compreso come ci si entra, un’ esistenza di solitudine ed un’ ansia che aumenta di giorno in giorno.
Non vi è’ possibilità di cura per un uomo che non ha mai amato, che si guarda in uno specchio vuoto alla ricerca del proprio volto, sopraffatto da un desiderio di fuga e da un senso di nausea, nessun incontro al di fuori dello studio, nella vita reale, a parte un amico invisibile, quel vicino senza volto che continua a suonare il pianoforte.
Per lei sarebbe più facile morire ma le è più difficile vivere, senza un luogo dove stare, con la paura di suonare, di smettere di farlo, di avvicinarsi a qualcuno, di rimanere sola, una donna inseguita da un trauma infantile incancellabile che l’ ha resa invisibile a se stessa e che ancora una volta ha perduto la voglia di vivere.
Si potrebbe cercare di capire di che cosa si ha paura a cominciare dal proprio desiderio più grande e questo darebbe inizio alla cura.
Agathe è lo specchio di se’, denuda il proprio non essere, quell’ oscura presenza che lo ha reso inabile all’ ascolto e lo aiuterà a riconsiderare il suo dolore, riaccendendolo e riaccendendosi.
Ed allora i giorni riprendono colore, una cura ha avuto inizio, ricerca, speranza, conoscenza, desiderio, inseguimento e la vita ha cominciato ad assumere un altro volto.
L’ invisibilità verso se stessi diviene visibilità agli occhi degli altri, rimosso il senso di solitudine, il dolore e la patologia presagiscono nuovi incontri, ansia e paura scacciate da poche parole:
…” allora, dottore, viene con me o no? “….
Scrittrice, poetessa, psicologa danese, Anne Catherine Bomann ci consegna un breve romanzo, intenso, delicato, lineare, che fa della chiarezza espositiva il proprio marchio e lascia la propria essenza all’ intensità ed all’ enigma della relazione di cura.
Tutto accade al di fuori di un tempo e di uno spazio definiti, un conto alla rovescia delle sedute rimanenti, vite aperte ad una progressiva intimità che tesse una trama imbevuta di attesa, ascolto, riflessione, deduzione, interazione, immaginazione, invischiati e sfuggenti da un contesto puramente terapeutico, corroborando un reciproco scambio che dia finalmente senso ai propri giorni.
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