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Dio è uno sceneggiatore mediocre
A quarantasei anni Florent si sente al capolinea: ha fallito sia sul piano sentimentale sia nella professione, ed è preda della depressione che contrasta con l’assunzione di un farmaco (“L’effetto del Captorix si basava sull’aumento della secrezione di serotonina”) con vistose controindicazioni (“Al momento non provavo nessun desiderio, condizione che molti filosofi… avevano giudicato invidiabile”).
Abbandona l’amante giapponese e l’appartamento (“Il grattacielo totem era stato catalogato tra gli edifici più brutti di Parigi”) – con lei non è stato capace di replicare l’amore che ha visto nei genitori (“Le raccontai la storia del loro suicidio”), si rifugia in Normandia da un amico agricoltore e lì assiste all’apoteosi del suo fallimento ( “L’agricoltura è un’industria pesante che immobilizza ingenti capitali di produzione che generano un reddito basso o inesistente, o addirittura, vedi il caso di Aymeric, un reddito negativo”), rintraccia e pedina un antico amore…
Il ritorno a Parigi, nello studio del dottor Azote (“Il suo tasso di cortisolo è altissimo… Ho la sensazione che lei stia molto semplicemente morendo di tristezza”), è la sintesi del regresso alla fase orale tanto dell’uomo quanto della società.
Che sia questo il destino dell’uomo occidentale, previsto dal “nostro statuto di semplici primati”?
Giudizio finale: astenersi depressi.
Bruno Elpis