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L'Avversario
 
L'Avversario 2019-01-27 00:28:13 Fabiana83
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Fabiana83 Opinione inserita da Fabiana83    27 Gennaio, 2019
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“Non farebbe mai male ad una mosca” (Psyco- Hitchc

Prevessin, ricco paesino in territorio francese, poco distante da Ginevra.
Qui vivevano i coniugi Romand, Jean Claude e Florence insieme ai loro due figli, Antonie e Caroline di cinque e sette anni.
Abitavano in una vecchia fattoria trasformata, come tante altre, in comoda villa, con una Bmw da 250 mila franchi parcheggiata in garage. All’interno della comunità i Romand venivano considerati figure note e stimate d’altronde Jean Claude era un medico, o meglio un luminare nel campo della ricerca, lavorava presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, viaggiava spesso, partecipava a convegni internazionali, frequentava ministri e personaggi illustri. Tutti però ammiravano la sua discrezione, la rara modestia con cui metteva in luce gli altri anziché se stesso e soprattutto la sua profonda gentilezza. Era un uomo limpido e corretto, degno di assoluta fiducia e rispetto.

Questo fino al 9 Gennaio del 1993 quando, durante la notte, uccide la moglie fracassandole il cranio con un mattarello.
Al mattino infila nel videoregistratore la cassetta dei “Tre Porcellini”, si siede sul divano accanto ai figli a bere latte e a sgranocchiare coco pops. Dopo averli coccolati, inventa un nuovo gioco: Caroline viene fatta stendere sul letto, a pancia in giù, le copre la testa con un cuscino e spara. La stessa sorte toccherà al piccolo Titou.
Parte poi alla volta di Clairvaux dove pranza con gli anziani genitori prima di assassinarli, dove accarezza l’amatissimo labrador prima di abbatterlo. Durante l’interrogatorio confesserà che lasciando la casa paterna gli è venuto spontaneo girarsi a guardare la porta perché temeva, come sempre, di non rivedere più quella madre e quel padre ormai vecchi e malati.
Tenta di uccidere anche l’amante, Corinne, ma incrociare il suo sguardo al momento dell’aggressione lo fa desistere. La donna viene risparmiata.
Rientra a Prevessin, nella sua abitazione, dove sul tavolo ci sono ancora i disegni fatti dai bambini e nel piano superiore i loro cadaveri. Appicca il fuoco cominciando dalla soffitta, il punto più alto della villa, in modo che le fiamme si vedano subito e anche in lontananza. Attende l’arrivo dei pompieri prima di ingerire una manciata di barbiturici scaduti e segnala la sua presenza aprendo la finestra per assicurarsi un tempestivo soccorso. Non fallisce, difatti Jean Claude viene portato in salvo.

Tentato suicidio o suicidio inscenato? Il dubbio ancora oggi resta. Tuttavia la domanda più comune che ci poniamo quando sentiamo o leggiamo di crimini così efferati e privi di senso è la seguente: perché lo ha fatto?

Alla luce delle prove raccolte, gli inquirenti hanno scoperto che il signor Romand non è affatto un medico, non ha mai lavorato per la OMS e che per diciotto anni ha mentito a tutti, anche alle persone a lui più vicine. Più che essere un ricercatore di successo, come la moglie e il resto della famiglia erano stati portati a credere, Jean Claude altro non è che un abile millantatore.
Quella raccontata è dunque la storia di un uomo che ogni mattina baciava la moglie e i figli, usciva di casa fingendo di recarsi a lavoro, ma in realtà andava a perdersi nelle foreste del Giura. Questa è la storia di un uomo brillante che doveva essere a Tokyo per un convegno medico e si ritrova invece nella camera di un motel, poco distante dall’aeroporto, a guardare il soffitto e a sfogliare guide turistiche da cui reperire informazioni utili a rendere verosimiglianti i racconti dei suoi fantomatici viaggi. Questa è la storia di un uomo che per anni ha vissuto in maniera consona alla sua finta posizione sociale di ricco borghese, non solo utilizzando i risparmi che amici e parenti gli avevano affidato perché li investisse, contando naturalmente sulla sua indiscussa onestà, ma addirittura vendendo “pillole miracolose” (probabilmente comuni analgesici) che promettevano di curare pazienti oncologici in stadio terminale.
Insomma la sua vera identità, ammesso che ne avesse una o una sola, non combacia con quella facciata di perfezione che ha costruito per la famiglia e per gli amici più cari.

Com’è facilmente intuibile il fatto di cronaca scosse l’intero Paese e anche lo stesso Carrere che scrive sul caso Romand, “non per curiosità malsana” e non semplicemente per portare alla luce “i fatti” e i dettagli di questa torbida vicenda, ma per rispondere sostanzialmente a due domande: Che cosa passava nella testa nella testa di quell’uomo durante le giornate in cui gli altri lo credevano in ufficio? E che cosa accade nel suo cuore durante le ore notturne di veglia e preghiera che ora trascorre nel carcere di Fresnes?
Lo scrittore non si accontenta di assistere personalmente al processo, ma inizia una breve, e a mio avviso nemmeno proficua corrispondenza con l’imputato, visita addirittura i luoghi in cui Jean Claude “aveva vissuto la sua vita di fantasma".

Entrare nella mente (e nel cuore) di uno psicopatico è certamente un progetto ambizioso, ma anche irto di insidie, infatti Carrere ci riesce, solo parzialmente. Per questa ragione il libro risente di un taglio fortemente giornalistico e a tratti diventa uno scarno resoconto del dibattimento procedimentale.
In ogni caso non gliene faccio una colpa, consapevole della difficoltà di spiegare razionalmente qualcosa che non ha nulla di razionale: la follia. Quella follia che sfugge a qualsivoglia paradigma scientifico e che rende vano ogni tentativo di restituire un volto umano al male.

Tuttavia lo scrittore francese commette due passi falsi, il primo quando si rapporta a Jean Claude facendolo sentire “alla pari”. Non esiste un rapporto paritario tra i due, la loro è una comunicazione fortemente sbilanciata perché a dettare le regole è un pluriomicida che si ostina a parlare di “tragedia” o “incidente” anziché di “crimine” e che non ricorda mai le sue vittime preferendo invece dilungarsi sulla propria sofferenza. E’ lui a decidere cosa dire, omettere o mistificare, questo è il suo show. Carrere invece appare diviso tra l’ossessione di raccontare una storia scomoda, che smuove le coscienze e la paura di pubblicare un libro che potrebbe fomentare la mitomania del suo protagonista o peggio ancora riabilitarlo.
Considerare alla pari un soggetto fortemente disturbato obbliga inoltre a ricondurre la crudeltà del crimine a motivi straordinari. Preferiamo dire che si tratta di pazzi in preda ad un raptus, ad una crisi di nervi perché è difficile riconoscere che tra noi si nascondono cittadini esemplari – apparentemente normali- che un bel giorno decidono di impugnare una pistola e sterminare un’intera famiglia.
Molti di questi moventi “eccezionali” sono stati snocciolati nel corso dell’interrogatorio: l’isterectomia di sua madre, l’essere figlio unico e dunque troppo coccolato e viziato, la morte del cane, suo unico confidente nel periodo dell’infanzia, il presunto suicidio di una ragazza che frequentava ai tempi dell’università, i suoi problemi sessuali (“non doveva essere un drago a letto”) o lo stress economico. Tuttavia nessuna delle motivazioni risulta abbastanza convincente per poter spiegare l’orrore di quell’assassinio. Secondo la mia personale opinione, tutte queste ragioni, per quanto plausibili, possono aver funzionato semplicemente da “catalizzatore”, ma è la presenza latente e nascosta di un disturbo psichiatrico che spinge l’uomo a compiere una strage. Jean Claude uccide per un motivo banale, e non straordinario, ovvero per non essere smascherato per quello che era già prima di impugnare la rivoltella.
Spogliarsi della maschera di menzogne che si è cucito addosso, di quel travestimento che ha portato così a lungo da diventare la sua prima (e non seconda) pelle non significa solo ritrovarsi nudo, ma completamente scorticato. E’ un meccanismo che si inceppa, la finta immagine di decoro va in frantumi, e lo stesso accade alla sua vita. Dunque non potendo più apparire come una persona integerrima soccombe alle proprie devianze (che devono considerarsi INNATE e non conseguenziali) e uccide, elimina il problema.

Il secondo passo falso, l’essersi avvicinato a Jean Claude nel tentativo di parlare non all’uomo che ha commesso qualcosa di agghiacciante, ma all’uomo a cui è accaduto qualcosa di agghiacciante, “vittima sventurata di forze demoniache”. Eppure un omicidio non accade, viene fatto accadere. Jean Claude si è trovato di fronte ad un bivio: scegliere di confessare tutto assumendosene la piena responsabilità o continuare la farsa, anche se questo significava sopprimere i suoi stessi figli. Ha deciso. Contrariamente ad altri soggetti patologici, gli psicopatici sono provvisti di capacità di analisi, sanno perfettamente cosa stanno facendo. Sopperiscono al loro spaventoso deficit emotivo, mantenendo una spiccata ipertrofia del mondo razionale, devono capire tutto. Sono lucidi, scaltri e spesso possiedono un QI solitamente molto alto. Agiscono e scelgono con calcolo e consapevolezza. Jean Claude decide di mentire e di assassinare.
D’altronde anche nelle testimonianze fornite avrebbe potuto finalmente riscattarsi e dimostrarsi sincero, eppure continua ad alterare la verità, ad aggiungere dettagli e particolari per manipolare la corte, i giornalisti, gli psichiatri e in generale l’opinione pubblica. Sbugiardato inventa nuove storie, cambia il racconto, rimaneggia i fatti con la stessa calma e tranquillità di chi sta affermando il vero. Carrere intravede una possibile giustificazione, lascia intendere che quelle menzogne patologiche fossero incontrollabili, che uscissero dalla bocca di Jean Claude quasi in modo spontaneo, naturale e che lo spingessero ad autoingannarsi, a non distinguere più il vero dal falso. Il problema è che il soggetto in questione non si limitava a mentire, ma distorceva la realtà tacendo su informazioni che certamente avrebbero potuto deludere o far soffrire l’altro, ma anche influenzare la sua capacità di scelta. Un esempio per tutti, dopo un insistente corteggiamento riesce ad ottenere la mano di Florence confessandole di avere un (inesistente) tumore e facendo leva sulla sua empatia, sul lato compassionevole di una donna semplice, priva di malizia. Lo stesso copione si ripeterà, a distanza di anni, quando l’amante ormai insoddisfatta tenterà di scaricarlo. Queste non sono semplici bugie, ma vere e proprie truffe emotive.
Bugia e verità vengono magistralmente utilizzate, nella vita e nel corso del processo, per manipolare gli altri e per costruire quel personaggio perfetto che forse avrebbe voluto essere e che, di fatto, si limita ad interpretare.

Sono certa che l’urgenza di trovare una risposta ai tanti interrogativi che un fatto così inspiegabile suscita, abbia incoraggiato molti di noi (o potrà incoraggiare) ad avvicinarsi ad un libro così doloroso, difficile da capire e da digerire. Sono diverse le domande che io stessa mi sono posta: cosa avrà pensato Jean Claude quando ha visto le foto dei suoi bambini, dei loro piccoli corpi carbonizzati distesi sul tavolo di un obitorio? Orrore? Inconsolabile disperazione? Si sarà portato le mani davanti agli occhi per non guardare? Avrà scosso la testa per cancellare quella terribile realtà, l’unica realtà possibile, quella vera, quella autentica che stavolta non è riuscito a contraffare? E inoltre, tra qualche anno, per il signor Romand si apriranno le porte del carcere, tornerà ad essere un uomo libero, ma un uomo “nuovo” o lo stesso “individuo perverso e macchiavellico capace di prendere una falsa identità come altri prendono i voti? E’ sbagliato considerare “L’Avversario”(e forse qualsiasi libro) un piccolo oracolo tascabile, ma sfogliando quelle pagine potrete sicuramente cogliere spunti utili e chiarificatori.





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A Sangue Freddo- Truman Capote
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