Dettagli Recensione
Florent-Claude Labrouste
«Ero capace di essere felice nella solitudine? Pensavo di no. Ero capace di essere felice in generale? È il tipo di domanda che credo sia meglio non farsi» p. 81
Florent-Claude Labrouste ha quarantasei anni, è funzionario del ministero dell’Agricoltura con un conto in banca superiore a settecentomila Euro, abita con Yuzu, donna di origine giapponese poco più che ventenne – particolarmente libertina, sessualmente disincantata e propensa alle sperimentazioni con soggetti diversi dal suo partner – con cui ha una relazione da circa due lustri ormai giunta al suo termine, in un appartamento extralusso alla periferia di Parigi e odia il suo nome perché gli elementi che lo compongono sono del tutto sbagliati. Florent è troppo dolce e vicino al femminile Florence, in senso quasi androgino, Claude rimanda alle Claudettes e al video vintage di Claude Francois ripassato a ripetizione in una serata omosessuale. A causa di una depressione, misantropia e senso di insoddisfazione sempre più pressanti decide di abbandonare la sua vita e di far perdere ogni traccia di sé. Gli sembra, d’altra parte, l’unica alternativa valida all’altra possibilità per riacquistare la libertà, e consistente cioè, nell’omicidio di quella compagna la cui presenza è divenuta insopportabile. Per garantire la riuscita della sua fuga e per tenere sotto controllo questo profondo stato di inquietudine è però necessario un “aiutino” esterno, decide così – a partire dal 2017 – di usufruire della ricerca scientifica e di iniziare a prendere un farmaco di ultima generazione chiamato Capton D-L o più semplicemente Captorix. Quest’ultimo non è altro che una piccola compressa bianca, ovale e divisibile che si basa sull’aumento della secrezione di serotonina nel sangue inibendone la ricaptazione da parte dei neuroni 5-HT1 e che con un “piccolo sacrificio” garantisce i risultati sperati.
«Per questo merito la morte, e anche punizioni ben più gravi, non posso nascondermelo: finirò la mia vita infelice, bisbetico e solo, e me lo sarò meritato.»
Il fuggifuggi porta questo eclettico personaggio in Normandia dove, se da un lato il flusso di pensieri si concentra sulle precedenti relazioni e sulla ricerca un amore perduto, dall’altro, lo porta a rincontrare Aymeric, vecchio amico allevatore di mucche di antica stirpe nobiliare, lasciato dalla moglie, separato anche dalle figlie su cui vanta un diritto mai esplicato di affidamento e che affronta un periodo di crisi economica a causa del crollo delle quote del latte. Sarà durante questa visita che emergerà uno degli episodi più brutali e di forte impatto del volume, un episodio che richiamerà proprio gli scontri dei gilet gialli e che non mancherà di ricollocare l’ottavo lavoro di Houellebecq nella realtà più attuale e più precisamente nelle distorsioni e storture di un presente collocato nell’attesa di un prossimo – e remoto – futuro affatto più propositivo.
«In Occidente nessuno sarà più felice, pensava ancora, mai più, oggi dobbiamo considerare la felicità come un’antica chimera, non se ne sono più presentate le condizioni storiche»
Mediante l’ausilio di una voce narrante armata da una scrittura densa, fluida eppure tormentata e stratificata da una composizione strutturata in lunghi periodi che si tramutano in coscienza pura e auto-analisi, “Serotonina” è una vera e propria confessione di sofferenza, rancore, ossessione che si articola in un alternarsi continuo tra un presente e un passato che nulla risparmia al conoscitore. Alcuni passaggi, in particolare, sono spinti – come consueto dal saggista – ai massimi livelli tanto da disturbare con la loro crudezza, eccessività (anche sessuale). A questi se ne aggiungono altrettanti ironici e arguti che celano profonde riflessioni.
Il risultato è un elaborato controverso, che infastidisce, che sa essere particolarmente crudele e spietato, che non teme di mostrare le conseguenze peggiori e più estreme di quella società fatta di competizione, fretta, ritmi serrati, freneticità, che non ammette pause, che non consente alternative, che non offre seconde possibilità, possibilità di riscatto o rivalsa e dove la forbice tra ricco e povero è sempre maggiore.
Non stupisce quindi che l’opera di Michel Houellebecq sia stata una delle più attese e promettenti del 2019, non stupisce che abbia raggiunto un immediato successo di vendita in madrepatria, non stupisce che sia considerato il capolavoro di questo autore. Se deciderete di leggerlo ricordate che “Serotonina” non ha limiti e non vuole averne. È una corrente ininterrotta, una cascata di pensieri in costante accelerazione e mai in decelerazione, un torrente che non teme di far storcere il naso e creare disappunto in chi legge, che non teme il suo essere intrinsecamente provocatorio, che non teme di mettere a nudo le anime moderne, che tratta tematiche varie che vanno dal sesso, alle perversioni sessuali, alle crisi esistenziali, all’amore, alla rappresentazione della Francia e dell’Europa del nuovo millennio, che osa. Perché “Serotonina” nel suo toccare una totalità inarrestabile di problematiche e questioni non è altro che un romanzo fortemente umano che per questo si fa amare e odiare. Può inoltre stordire per la prolissità con cui è costruito. La sensazione, grazie alle varie digressioni, ai ragionamenti e pensieri che si susseguono, è quella di essere letteralmente all’interno della mente di Florent, cosa che rende il protagonista vivido e concreto ma che al contempo può rallentare la lettura.
«È una piccola compressa bianca, ovale, divisibile. Non crea né trasforma. Ciò che era definitivo, lo rende passeggero; ciò che era ineluttabile, lo rende contingente. Fornisce una nuova interpretazione della vita – meno ricca, più artificiale, e meno improntata a una certa rigidità. Non dà alcuna forma di felicità, e neppure di vero sollievo, la sua azione è di tipo diverso: trasformando la vita in una serie di formalità, permette di raggirare. Pertanto aiuta gli uomini a vivere, o almeno a non morire – per qualche tempo. La morte, tuttavia, finisce per imporsi, l’armatura molecolare si incrina, il processo di disfacimento riprende il suo corso. È sicuramente più rapido per quelli che non hanno mai fatto parte del mondo, non hanno mai ipotizzato di vivere, né di amare, né di essere amati; quelli che hanno sempre saputo che la vita non era alla loro portata. Costoro, e sono tanti, non hanno niente da rimpiangere, come si è detto; io non rientro nella categoria. Avrei potuto rendere felice una donna. Anzi, due: ho già detto quali. Tutto era chiaro, estremamente chiaro, sin dall’inizio; ma non ne abbiamo tenuto conto. Abbiamo forse ceduto a illusioni di libertà individuale, di vita aperta, di infinità dei possibili? È probabile, quelle idee erano nello spirito del tempo; on le abbiamo formalizzate, ce ne mancava l’inclinazione; ci siamo limitati a conformarci a esse, a lasciarcene distruggere; e poi, per molto tempo, a soffrirne.» p. 331-332