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Vite
Correva l’anno 2004, era il 26 dicembre in quel dell’hotel Eva Lanka in Sri Lanka. Emmanuel e Hélèn stanno trascorrendo quella che pensano essere la loro ultima notte insieme perché, a distanza di un anno dal loro primo incontro, la passione e il sentimento sono mutati, trasformandosi in un qualcosa di diverso dall’amore e evidenziando quelle diversità e inconcibilità caratteriali. Poi, il mattino. Il superare quel piccolo promontorio, l’apprendere di quel che è successo in quegli attimi e in quelle ore che loro si erano dedicati. Perché quello che l’uomo si trova di fronte dopo essersi di poco allontanato dalla struttura alberghiera è un qualcosa di tanto inaspettato quanto devastante: morte, distruzione, devastazione, dolore, perdita, caos, sono lo scenario che si apre ai suoi occhi dopo l’onda. Un terremoto di magnitudo 9,1 che ha colpito l’Oceano Indiano al largo della costa nord-occidentale di Sumatra e della durata di 8 minuti, a cui è seguito il maremoto da cui è stata determinata l’onda alta decine di metri che ha colpito e portato via con sé, sotto forma di immensi tsunami, tutto quel che ha trovato sul suo cammino, hanno causato desolazione, distruzione, feriti, vittime, sfollati. Senza alcuno risparmiare. Da questo momento hanno inizio le ricerche, Hélèn come tutti gli altri sopravvissuti iniziano a cercare i possibili superstiti, a tenere i contatti con il mondo esterno, e quella che prima era il dramma privato diventa evanescente per lasciar posto a quello che è il dramma collettivo.
«Ha chiuso gli occhi aspettandosi di essere stritolato da uno di quei relitti enormi e li ha tenuti chiusi finché il mugghio spaventoso della corrente si è calmato per lasciare spazio ad altro, grida di uomini e donne feriti, e allora ha capito che il mondo non era finito, che lui era vivo, che il vero incubo iniziava adesso»
«Questi normali inconvenienti che nella vita normale sono semplicemente seccanti, in simili circostanze straordinarie diventano insieme mostruosi e provvidenziali perché definiscono un compito da assolvere, danno una forma allo scorrere del tempo.»
I giorni passano rapidi, il tempo è un limbo, è ovattato, la dimensione del disastro è una dimensione parallela a quello che accade nel resto del pianeta. Poi, il ritorno a casa. La vita che riparte con quel retrogusto amaro per chi quella possibilità di vivere l’ha perduta. La vita, ancora lei, che torna a bussare alla porta della famiglia di Carrère con tutta la sua drammaticità e con una avversità, questa volta, tutta familiare perché oggetto della malasorte non è altro che la sorella di Hélèn, Juliette, a cui è stato diagnosticato un tumore al seno in metastasi ai polmoni. Ed è qui che entra in scena Étienne, compagno di quest’ultima e protagonista indiscusso di detta seconda parte del volume.
Lo scrittore, allora, non può far altro che osservare, osservare, osservare e poi, scrivere. Riportare con cura e con dovizia quei particolari che hanno caratterizzato lo scenario di morte in Indonesia, riportare quel coraggio e quella forza che ha toccato una esistenza condannata dalla malattia alla morte. L’autore, che nella prima parte dell’opera indossa i panni del giornalista – quando tale in verità sarebbe la convivente –, trasmette l’angoscia, la paura, quel senso di devastazione determinato dall’aver perso tutto, quel coraggio e ancora quella voglia di ricominciare, di credere in un nuovo domani, in un nuovo futuro. Nella seconda, si spoglia al contrario del suo io tendenzialmente narcisista e per primo si mette a nudo, con le sue paure, le sue fragilità, il suo bisogno di ricevere coraggio. A cornice di questa ulteriore sezione del componimento, il desiderio di giustizia. Il tutto con quel velo di distacco che permette a chi legge di analizzare e vivere sulla pelle le vicende.
Un elaborato dove il vero protagonista è la morte, dove le pagine trasudano di coraggio e di dolore, dove il lettore non può far altro che soffermarsi a riflettere e a interrogarsi sul nostro essere effimeri, sulle nostre priorità spesso futili, sulle verità di quel che ci circonda, su quel che abbiamo più caro.
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