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Il puzzle della memoria affettiva
Questo splendido romanzo di Eudora Welty ( 1909- 1991 ) è senza dubbio una delle migliori letture da me affrontate durante l’ anno.
Scritto nel 1972, opera matura di una scrittrice in primis di racconti, insignita del premio Pulitzer nel 1973, esponente della Southern Literature, donna schiva che ha vissuto una appartata felicità, nei suoi romanzi prevale una dimensione comunitaria, personaggi di varie generazioni ed estrazioni in un interscambio di esperienze e racconti, una indagine accurata dell’ istituzione famigliare e dei suoi cambiamenti, miscela di realismo e mitologia del Sud.
“ La figlia dell’ ottimista “ è un lungo viaggio, affettivo, relazionale, della memoria, suddiviso in quattro parti, ciascuna ad esprimere una esigenza ed uno stile adatto ed adattato al contingente, l’ansia della paura e della non conoscenza, il fitto e sterile cicaleccio della comunita’, il silenzio dell’ attesa e dell’ ascolto, la solitaria, dolorosa ed intima versione della protagonista.
Una attesa protratta introduce una trama scarna ed i suoi protagonisti, ( la malattia del giudice McKelva accudito dalla figlia Lauren trasferitasi da Chicago a New Orleans ), abbandonandosi all’ incredulità, ad una miscela di dolore e rabbia ( dopo la sua morte improvvisa ed inaspettata ), al viaggio verso casa ( in Mississippi ) per officiare la commedia della deferenza e dell’ ascolto ( al cospetto di una piccola comunità noiosa e petulante che esprime sorrisi di circostanza ), a giorni di analisi e ricordi nelle silenziose mura della propria infanzia in un rinnovato dialogo con i morti, ( la madre Becky), al confronto serrato con i vivi ( Fay, giovane vedova del defunto padre ), alla pacificazione con la vita ed i propri affetti ( il marito Phil precocemente scomparso ed i genitori ), all’ interiorizzazione ed al definitivo allontanamento.
La protagonista, Laurel, complesso ritratto al femminile, alterna il silenzio meditato dell’ ascolto al reiterato monologo personale, il dialogo con i morti al duello con i vivi, in primis con Fay, la giovane matrigna, una donna priva di energia passionale ed immaginazione, incapace di scorgerla e coglierla negli altri, invisibili ai suoi occhi.
Fay appartiene al futuro ed interpreta il cinico e nichilistico presente, una vedova appropriatasi di tutto senza sapere niente, macchiatasi di una terribile colpa, ignara di azioni e conseguenze, per lei lusinga e critica posseggono il medesimo volto.
Laurel è una donna con un genere di timidezza che si rifugia nel dare rifugio, incarna il passato, realtà e sogno, conscio ed inconscio, amore e sofferenza, e porta con se’ una storia, più storie da rivivere e raccontare.
Grazie a ricordi sparpagliati e nascosti nella dimora della propria infanzia richiama i defunti, ricostruendo un puzzle affettivo dalla rimozione di distanze e conflitti, imbrattato di assenze, silenzi, vuoti, vite bruscamente interrotte o precocemente spezzate, lunghe esistenze parallele ed attimi di felicità senza futuro.
Suo padre è stato ed è un membro di Mount Salus, un McKelva, un notabile, ha goduto di un pubblico dal quale non può sottrarsi, ma Laurel pensa che proprio in quei momenti, tra persone che conosce e che lo conoscono da sempre, egli corra il più’ grande pericolo della sua esistenza.
Ed allora cerca di testimoniare a suo favore contro quel ritratto poco veritiero che lo sta mistificando, lui che è stato un uomo modesto, anche se ancora stenta a credere che abbia potuto, quasi settantenne, accogliere una giovincella.
Lei fatica ad adattarsi al tempo richiesto dalle cose, molti anni prima se ne è andata da un luogo che non aveva abbastanza da offrire ad una mente brillante ed oggi è tornata solo in veste di ospite.
È sopraffatta dal desiderio di libertà, di raccontare, di sfogarsi con la madre morta, ma Becky se ne è andata senza dire una parola, tenendosi tutto dentro, esiliata ed umiliata; la sua rabbia era la rabbia di chi vuole capire e non ottiene risposta, la rabbia abissale dell’ amore, un amore tradito, e che già sentiva tale.
In una notte bisognosa Laurel vorrebbe restituire i genitori ai sentimenti della vita, perché quella sofferenza l’avevano sperimentata insieme, l’uno attraverso l’ altra, condividere il suo dolore, come lei aveva condiviso il loro, considerando che la sua vita, ogni vita, non è altro che la continuità dell’ amore che porta con se’.
Ma genitori e figli a turno si scambiano i ruoli, proteggendosi ed attaccandosi e ….” noi ci sforziamo di dare consistenza a qualunque minuzia ci possa recare conforto quando loro non sentiranno più nulla; una minuzia che non potrà durare o mostrarsi attendibile, la resistenza del ricordo, la protezione dal danno, la sicurezza di se’, la buona speranza, la fiducia gli uni negli altri “…
Fay non appartiene al passato e non potrà danneggiarlo, neanche Laurel, oggi, benché per lei sia stato tutto.
Ed allora il pensiero ritorna a Phil, a quello che tra loro poteva essere e non è stato, ad una vita come quella dei suoi genitori, forse del tutto diversa, chissà….
Il passato è ….” inaccessibile, impossibile da risvegliare “... …
….” e il ricordo è un sonnambulo, non è mai inaccessibile, ci chiamerà per nome e pretenderà le lacrime che gli dobbiamo. Fintanto che sarà vivo, fintanto che ne saremo capaci, noi gli pagheremo il dovuto….”
… “ Il ricordo non viveva nel possesso iniziale ma nelle mani libere, assolte e libere, e nel cuore capace di svuotarsi e tornare a riempirsi nelle fantasie restituite dai sogni “…
Buona lettura.
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