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Il rapporto umano, l’ultimo bene
“Quelli come noi non hanno una famiglia. Mettono insieme un gruzzoletto e poi lo sperperano. Non hanno nessuno al mondo a cui importi un fico secco di loro...”
Questo è il dialogo (drammatico, da un certo punto di vista) che si ripete più di una volta durante il racconto di “Uomini e Topi” tra i due protagonisti: l’ingenuo, goffo e maldestro Lennie e, dall’altra parte, il fedele, saggio e responsabile George.
Mi sono approcciato a questo libro subito dopo aver ultimato “Furore”, grandissimo romanzo. Entrambi li trovo molto diversi, ma anche molto uguali. Uno relativamente breve e l’altro relativamente lungo, uno così enigmatico e sedentario (il luogo rimane sempre quello del ranch), l’altro così lineare e dinamico. Ma entrambi mettono in evidenza la grande crisi sociale che attanaglia da sempre il ceto più povero degli Stati Uniti d’America. Una conseguenza di una crisi economica durissima.
Prima ho usato un aggettivo un po’ inusuale per chi conosce Steinbeck, la cui penna si aggiudicò il premio Nobel del ‘62, ossia “enigmatico”. E lo ripeto con forza. È un libro enigmatico, misterioso, capace di suscitare continue domande, continui dubbi e collegamenti inusuali.
Il primo dialogo tra i due, prima che approdassero al ranch -vero teatro dell’intero racconto-, mi ha fatto ricordare “Aspettando Godot” (!!), opera teatrale di Beckett. Con il primo personaggio che non si ricorda nulla di ciò che si è detto, fatto e vissuto insieme al secondo che, tra l’infastidito e il divertito, continua a dare le stesse risposte alle stesse domande che tanto angosciano il suo amico.
Poi mano mano che il racconto procedeva l’ombra di Beckett si diradava sempre più fino a scomparire, fino a lasciare la mia ragione, stavolta, al buio. Buio completo. Non riuscivo ad afferrare il senso di tutto questo: perché George continua a rimanere fedele a Lennie, a dargli corda? Perché non lo lascia alla sua vita con beneficio per entrambi? Cos’ha di tanto speciale quell’omone così tenero quanto sciocco per il piccolo ma sveglio George? Domande su domande. La mia testa era nel caos: interrogativi pesanti senza nessuno spiraglio di risposta.
Mistero.
Enigma.
È un rapporto quello tra George e Lennie, su cui si basa l’intera vicenda, che inizialmente sfuggiva dalle mie capacità di comprensione. Ci sarà un motivo se il vecchio John, dopo una storia così ben lineare come quella di “Furore”, propone una storia apparentemente sconclusionata per rimarcare lo stesso j’accuse, mi sono chiesto.
Ed ecco che alla fine mi sono dato una risposta, piuttosto inusuale direi. C’è la volontà di far vedere come, nelle grandi crisi economiche che devastano e hanno devastato milioni di famiglie costrette ad emigrare nel loro stesso paese e ad errare per cercare una speranza di futuro, il rapporto umano sia l’ultimo bene, non commerciabile, a lasciare l’uomo. Il rapporto umano è necessario per la sua sopravvivenza. Anche se può apparire strumentale. Le continue illusioni sul futuro che Lennie e George amano ripetersi (a cui si aggiungerà anche Candy) permette loro di andare avanti, di vivere con speranza e impegno il presente.
E, infatti, quando anche questo castello di carte abilmente costruito con parole e autosuggestioni si rivelerà per quello che davvero è, ovvero utopia -perché nella società americana non c’è nessun appiglio né aiuto in tal senso, e neanche un senso civico motivato e forte (“io li conosco quelli come voi... tutto quello che intascate finisce in bordelli al sabato sera”), è l’accusa (e la verità) drammatica di Steinbeck-, ecco che l’amicizia di Lennie non ha più ragione d’essere. Se prima, pur con i suoi paradossi e le sue illogicità aveva ancora un senso, che era vitale, per George, ora è il contrario.
Ma sono gli Stati Uniti a perdere, non George, perché incapaci di alimentare quella volontà di riscatto e di speranze che i due vecchi amici stavano faticosamente tentando di costruire.
Questo è “uomini e topi”. Tutti sono uomini fino a quando si rendono conto di non essere in grado di raggiungere ciò che si erano prefissati e finiscono per rintanarsi e mettere le radici nell’unico posto che riescono a trovare, non importa quale esso sia.
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Commenti
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All’inizio, mentre leggevo a quel dialogo iniziale, la mia mente, come colpita da una scossa, si è “sintonizzata” su quell’opera teatrale: il collegamento è stato inevitabile.
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