Dettagli Recensione
Souvenirs dormants
«Per me Parigi è disseminata di fantasmi, numerosi quanto le stazioni del metro e tutti i relativi puntini luminosi che si accendevano quando capitava di premere i tasti sul tabellone dei cambi di linea»
Quante volte nella vita notiamo un dettaglio, anche inusuale o inaspettato, che ci riporta alla mente ricordi dei tempi che furono, ricordi che nemmeno pensavamo di aver accumulato? Quante volte da un semplice dettaglio o da un piccolo oggetto la nostra mente torna indietro e ci mette di fronte al pensiero a un frammento della nostra memoria che è capace di mettere in discussione il nostro io, la nostra immagine negli anni costruita e impostata dagli avvenimenti, dai fatti, dalle circostanze? Ed è proprio partendo da questo espediente che il Nobel per la letteratura francese crea e ci propone il suo “Ricordi dormienti”. Il ricordo e il sogno, sono gli elementi alla base dell’opera, un elaborato che tenendo come costante l’identità costruita, aggiunge la componente di un ricordo non nitido, irreale, trasfigurato. Ricordo e sogno, quindi, si mescolano, si trasfigurano, si confondono, portano a nuove interpretazioni, nuove verità, nuove prospettive.
E a far da cornice alla dimensione intima della memoria vi sono i luoghi. Luoghi misteriosi, luoghi rarefatti, luoghi che abbiamo visitato nella nostra vita e che credevamo di conoscere prima che mille e mille comparse mettessero in discussione queste certezze. Perché basta incrociare una persona anche per un breve periodo della nostra esistenza o anche soltanto per un attimo in un binomio perfetto di causalità in quel che è un fortuito incontro per rievocare l’immagine, una immagine che la nostra mente ha custodito ma che è propria di un istante perché non possiamo trattenerla, in alcun modo. Immagini che sono ricordi, immagini che sono fantasmi di un passato rarefatto, immagini vissute in gioventù ma rievocate in età adulta. Immagini fugaci in cui autore e narratore si fondono e confondono nella consapevolezza di un tempo ormai giunto al suo termine.
«[…] Nel corso degli anni 1963 e 1964, sembrava che il vecchio mondo stesse trattenendo il fiato un’ultima volta prima di crollare, come tutte le case e i palazzi dei sobborghi e della periferia che stavano per essere demoliti. Noi che eravamo molto giovani abbiamo avuto la possibilità di vivere nelle vecchie scenografie per qualche mese ancora. Nell’albergo di rue Monge ricordo l’interruttore a forma di pera sul comodino e le tende nere che ogni volta Geneviève Dalame chiudeva con un gesto brusco, le tende della difesa passiva che dai tempi della guerra non erano ancora state sostituite»
Unica pecca che ho riscontrato in questo lungo racconto è nella sua seconda parte in quanto Modiano muta completamente oggetto, personaggio, caso. Questo fa parte sicuramente dell’essenza dei “ricordi dormienti” e per questo è lineare e conforme a quella che è la linea narrativa e a quella che è l’idea del narratore, eppure, tende a mettere un poco in confusione il lettore che giunge all’epilogo, a sua volta molto particolare, con quella sensazione di insicurezza, di sfuggevolezza dell’essenza del testo.
Il tutto in quel di Parigi e con la penna erudita e pregiata che l’autore vincitore del Premio Goncourt sempre ci dona e destina.